Super transumanza a Lecco

3000 pecore passano in città 

(20/05/2020) Lecco sfida Madrid e Marsiglia.  Sabato 23 maggio, in mattinata, passeranno dal centro di Lecco 3200 pecore dei pastori Galbusera, dinastia (alla quinta generazione) di pastori brianzoli doc. Sono diretti ai pascoli della Valsassina. E’ la prima volta che i tre greggi dei Galbusera effettuano la transumanza insieme. Uno spettacolo da non perdere. Ma sapevate che a Lecco c’è la Via delle Pecore e che …

La transumanza a Marsiglia

(21.05.20) Lecco città di transumanza. Oggi è vista come un fatto curioso, una novità. Forse c’è più interesse per il fiume che cammina belante di qualche tempo fa. Non pochi anni fa le pecore erano considerate un residuo arcaico di un mondo che era meglio archiviare, che “disturbava”, che sporcava, che puzzava. Non è un fatto locale ma epocale, globale, l’effetto della post-modernità o, se si vuole, del rigetto di una modernità ormai estrema e dagli sviluppi inquietanti. Non a caso l’Unesco il 19 novembre scorso ha dichiarato – tra le troppe cose che inflazionano il riconoscimento un tempo prestigioso – la transumanza “patrimonio immateriale dell’umanità”. In Italia non si è fatto molto per divulgare e celebrare questo evento. Poi è venuto il virus. Ora a Lecco la super-transumanza inedita è anche festa per il riconoscimento Unesco e per il superamento della fase critica dell’epidemia.


Le pecore svolgono anche il servizio di  tosa-siepi. Scherzi a parte, oggi sono più le persone felici di questa irruzione di una dimensione diversa che quelle che si lamentano per i piccoli inconvenienti del passaggio.

Così i pastori passavano senza farsi notare, di notte. Sono da decenni che Franco Galbusera passa con le sue pecore. Oggi c’è non solo più tolleranza ma anche simpatia e il passaggio delle pecore è tornato, come da secoli, una festa. Con la gara a immortalare il gregge nell’insolito paesaggio urbano.  In questi giorni i greggi dei Galbusera si sono avvicinati a Lecco pascolando nell’alta Brianza. Domani si riuniranno a San Michele (il santuario di origine longobarda alle pendici del monte Barro, di fronte alla città). Sabato mattina passeranno il ponte Azzone Visconti e da lì attraverseranno la città in direzione Valsassina. La partenza da Galbiate sarà alle 6. Attraversato il ponte il gregge percorrerà  via Amendola, Largo Caleotto, via Tonale, via Don Luigi Monza, via Valsecchi, Montalbano, Ballabio. Quindi lo spettacolo sarà per metà mattinata. Ideale.
Sarà uno spettacolo grandioso. E’ la prima volta che tre greggi passano insieme.  Negli anni scorsi, transitavano in giorni diversi, al massimo mille pecore per volta.
Partecipare anche per un attimo fuggente a un evento chr trasmette il senso di un ritmo che non si arresta, che continua ad essere cadenzato con la crescita dell’erba,  con una epidemia non ancora archiviata, è oggi quanto mai terapeutico. Ma è anche occasione, al di là delle sensazioni, della dimensione emozionale, per riflettere sulla relazione tra la città e la montagna, tra il presente e il passato. Per chiederci anche che futuro vogliamo.


Franco Galbusera, famiglia di pastori brianzoli, oggi ha residenza a Pasturo

Lecco città di transumanza?

Riprenderemo subito a parlare delle pecore che attraverseranno Lecco dopodomani. Prima, però, qualche piccola considerazione storica per capire perché Lecco non è solo la città della transumanza delle foto sui social ma lo è anche in ben altri termini.  Se Bergamo è la capitale indiscussa della transumanza del Nord Italia, anche Lecco e Brescia, città pedemontane, sono a pieno titolo città di transumanza (come in Piemonte Biella, Saluzzo, Mondovì).  Il fatto che sembri strano è dovuto solo a una percezione distorta. Ferro e formaggio, ferro e transumanza  sono stati un binomio indissolubile. Però ci si ricorda solo del ferro. Eppure minatori e pastori usavano gli stessi alpeggi. Padroni dei pascoli e delle miniere erano spesso gli stessi personaggi (i Manzoni tanto per non far nomi). Per secoli ferro e transumanza si sono date il cambio: quando era in crisi una delle due attività la valle si spostava sull’altra (notiamo che in passato la Valsassina iniziava a Lecco e finiva a Bellano perché “valle” era un concetto etnostorico, non di pedante idrografia).  Lecco è stata la capitale del formaggio. Ma non lo sanno neppure i lecchesi (il formaggio è anche un fatto silenzioso – lavorano i microbi – tutto all’opposto dei vulcanici altiforni che hanno alimentato le mitologie del Novecento, in versioni di “destra” e di “sinistra”).
La sede attuale della provincia è la Villa Locatelli, dinastia di formaggiai valsassinesi con origini nella transumanza. Il senatore Umberto Locatelli, morto nel 1958, titolare della ditta, fu personaggio importante in città, donò importanti opere pubbliche, fu pres. del Cai e dell’Ana, realizzò rifugi. I Locatelli erano anche allevatori (a Ballabio, al prato della Chiesa) e contruibuirono come pochi al progresso zootecnico. Anche sponsorizzando la Fiera di Lecco, che anche nel dopoguerra vedeva larga presenza di animali.


Il Caleotto, complesso industriale che ha segnato la storia sociale di Lecco

Se la Locatelli divenne la più grande ditta casearia dopo la Galbani (sempre di qui e sempre con quelle origini), fino agli anni ’30 non poche e non poco importanti erano le ditte casearie cittadine. Il gorgonzola arrivava a fiumi alla stazione di Lecco (il 20% del volume del formaggio italiano passava di qui), ma il grosso saliva in Valsassina nelle famose casere. Pochi sanno, però, che vi erano altre ditte importanti di gorgonzola a Lecco: la Corti a Castello (con grossi magazzini-casere a Balisio), la Milani in via Belvedere (con magazzino-casera con tanto di ghiacciaia, con macchina del ghiaccio made in Lecco).  Nel 1927 Filippo Tommaso Marinetti gratificò i  lecchesi che, al contrario di altri, non avevano fischiato una sua opera teatrale: Lecchesi, geniali amici del ferro veloce e del formaggio fortificante. Parole futuriste che esaltavano il formaggio. Una cultura della modernità ben diversa da quella di tempi a noi più vicini.

Lecco negli anni ’30 dell’Ottocento (si nota il tracciato nella nuova strada del lago di Como e dello Spluga, per quei tempi una vera autostrada). Pallino rosso Osteria del Vincanino (oggi via Vincanino), pallino giallo Via delle Pecore, pallino blu l’area di sosta dei bergamini lungo il Gerenzone.

La transumanza tra la Valsassina e la Brianza è fatto che anticipa i tempi storici, ma ben documentata è la transumanza moderna, a partire dal tardo medioevo, tra la Valsassina e la bassa pianura lombarda. La transumanza dei bergamini, con le vacche da latte, è continuata sino agli anni ’60. Ma subito dopo la guerra le vacche arrivavano già in treno, sbarcando, con indescrivibile confusione (e “imboasciamento”) alla stazione, poi, dal 1953, hanno continuato per un po’ in camion. Prima dell’espansione urbana vi erano possibilità di sosta nei prati nei pressi del borgo lungo il Gerenzone (viale Turati).

Quei greggi inarrestabili

La transumanza ovina non si è mai interrotta. Chissà a cosa si deve la dedica alle Pecore dell’omoniva vietta (molto tortuosa e pedonale) sull’antica via che scendeva la valle del Gerenzone in sponda destra (opposta a Castello, per intenderci). Va detto che le vacche sono meno agili e più ingombranti e che i bergamini, dalla metà dell’Ottocento, erano dotati del carro a due ruote, con una copertura in tela bianca sortretta da céntine come i carri del Far west americano). Così il bergamino scendeva (e saliva) lungo la strada principale; il pastore del passato, con piccoli greggi, prendeva stradine più campestri.

Sono cambiate proprio molte cose: i greggi oggi sono di mille pecore.  Se la transumanza bovina si è intrecciata con la grande storia, con le dinastie industriali dell’agroialimentare, quella ovina, mantenendosi sotto traccia, è sempiterna. In mezzo alle grandi trasformazioni del territorio non solo riesce a trovare spazi, ma ne conquista di nuovi.

Con la cessazione delle piccole attività agricole in montagna ma anche in collina, le pecore assumono un ruolo preziosissimo di manutenzione e cura dello spazio non più coltivato. Vale per i campi, le terrazze (i ronchi brianzoli), ma anche per i pascoli e gli alpeggi. Erano tanti un tempo i bergamini che si contendevano gli alpeggi, ora tra le poche aziende zootecniche rimaste in Valsassina non tutte alpeggiano. E se non ci fossero i veri pastori i pascoli finirebbero agli speculatori che – attraverso truffe più o meno legalizzate – riecono a incassare fortissimi contributi per pascolare poco e male (talvolta per nulla). Ben vengano quindi i pastori come i Galbusera.


I Galbusera hanno tre greggi. Andrea, il figlio di Franco – quarta generazione di pastori –  nato a Colle Brianza, da tempo ha una propria azienda (a Garbagnate). Pascolano separatamente, ognuno ha le sue zone tra la bassa e l’alta Brianza. Poi a maggio, come  si è sempre fatto, si sale in Valsassina. Un gregge  pascola i piani d’Erna e la conca di Morterone, il bellissimo paesino dietro il Resegone, che un tempo era abitato da moltissime famiglie di transumanti (con le vacche da latte, bergamini).  Oggi i prati sono diminuiti moltissimo, il paesaggio si è trasformato e perderebbe del tutto le sue caratteristiche e il suo fascino se il bosco avanzasse ulteriormente. Un altro gregge pascola la zona delle Grigne. Non mancavano le pecone sulle Grigne ma utilizzavano solo i pascoli più alti e sassosi.


Pascolo a Morterone

Ora anche i pascoli disseminati di cascine delle quote più basse sarebbero incolti se non vi fossero i greggi transumanti. Il terzo gregge utilizza i pascoli della Culmine di San Pietro e di Artavaggio ai confini con la val Taleggio. Poi scende in val Brembana e risale sino in alta valle nella zona del laghi Gemelli. E’ un grande comprensorio pascolivo nelle Orobie occidentali tra Lecco e Bergamo che questi greggi mantengono. Considerato l’impegno organizzativo per gli spostamenti a piedi e con i mezzi e i benefici ambientali e paesaggistici apportati, i contributi – in casi come questi – rappresentano un giusto corrispettivo per dei servizi resi.

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