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I prati stabili

(a cura di Valerio Ferrari)

Il prato

Il prato si distingue da altre colture foraggere per essere caratterizzato da un ciclo colturale superiore ad un anno, poiché, in caso contrario, si dovrebbe più propriamente parlare di erbai, che sono, invece, colture foraggere a rapido sviluppo, assoggettate ad un unico raccolto e trattate come produzioni intercalari ad altre colture principali.

Il prato, invece, in base alle sue caratteristiche relative all’origine, alla durata nel tempo, alla composizione floristica, al tipo di gestione a cui viene sottoposto, può essere distinto in: prato stabile o permanente (quando ha una durata superiore ai dieci anni) e in prato avvicendato (quando ha durata superiore ad un anno ma inferiore a dieci). A ciascuna di queste tipologie prative, poi, può essere applicata l’ulteriore specificazione di prato irriguo ovvero di prato asciutto, a seconda della possibilità o non di provvedere alla sua irrigazione, e di prato arborato, nel caso vi sia associata qualche coltura arborea (ivi compresa la vite che, in passato, costituiva un tratto molto importante del paesaggio nostrano), in genere, da noi, attuata sul perimetro degli appezzamenti.
Un’ulteriore caratterizzazione può riguardare il prato a marcita.

Cosa diversa sono, invece, i pascoli, che possono essere descritti come superfici erbose (non di rado punteggiate di alberi e di arbusti) a carattere permanente e di varia composizione, a seconda della posizione geografica e della latitudine, in cui l’erba viene pascolata direttamente dal bestiame. Una sottodistinzione può essere rappresentata dal prato-pascolo, dove la cotica erbosa permanente produce un foraggio che, dopo un primo sfalcio, viene lasciato pascolare per il resto dell’anno.

Tra l’Adda e il Serio si registra la maggiore concentrazione di prati stabili (Fonte: Regione Lombardia)

Il prato stabile o permanente

Dunque un prato stabile è costituito da una superficie erbosa, caratteristicamente formata da molte specie erbacee (polifitismo), la cui origine può essere tanto spontanea quanto artificiale, ma che si contraddistingue per il fatto di non subire alcun intervento di dissodamento, sicché viene gestito nel tempo solo attraverso lo sfalcio dell’erba e la concimazione. La sua durata, sempre superiore alla decina d’anni, può mantenersi nel tempo anche per diversi secoli, non solo relativamente a prati affermatisi in regioni collinari o montane (spesso prati naturali), ma anche in pianura padana, come peraltro succedeva in passato anche da noi.

Al regime idrico naturale (essenzialmente pluviale) che caratterizza i prati permanenti collinari e montani, si contrappone il regime irriguo artificiale della massima parte dei prati stabili di pianura, grazie all’abbondanza delle acque. Tale fattore determina una netta differenziazione inerente la produttività di queste superfici erbose che, se nelle prime regioni consente di procedere a 2 o 3 sfalci dell’erba nell’arco dell’anno, nei prati stabili irrigui di pianura tale possibilità sale fino a consentire 4 o 5 tagli l’anno. Da noi, a partire di solito dal mese di maggio, epoca in cui si effettua il primo taglio (maggengo), gli sfalci si susseguono a distanza di quaranta giorni l’uno dall’altro, all’incirca, talvolta fino all’autunno inoltrato.

Oltre all’elevato valore produttivo, i prati stabili in genere e quelli irrigui in particolare, relativamente al contesto ambientale in cui si trovano inseriti, rappresentano un elemento di straordinario interesse anche dal punto di vista paesaggistico ed ecologico, poiché rappresentano importanti serbatoi di biodiversità, tanto vegetale quanto animale. Alla notevole varietà floristica, infatti, essi associano anche una corrispondente diversità zoologica, che al prato ricorre quale diretta fonte alimentare, o nella sua veste di luogo di rifugio o di nidificazione.

La marcita

Un particolarissimo tipo di coltura prativa permanente è rappresentato dal prato a marcita o prato iemale. Un tempo caratteristica della pianura lombarda, la marcita si configura come un artificio di speciale concezione che, sfruttando la relativamente costante temperatura mantenuta dalle acque risorgive (10-14°C) fatte scorrere con continuità sulla superficie prativa, consente la crescita dell’erba anche durante la stagione invernale, permettendo fino a sette sfalci l’anno.

Il sistema prevede che un sottile velo d’acqua di fontanile scorra con continuità sull’intera superficie del prato stabile, dal tardo autunno fino alla primavera successiva, cedendo al terreno il suo carico termico ed impedendo così che il gelo inibisca la crescita dell’erba.

Per raggiungere i massimi risultati ogni riquadro sistemato a marcita viene percorso da diversi canali alimentatori o adduttori e da canali di colo, mentre la superficie topografica risulta sagomata da una successione di piani inclinati, detti “ali”, impostati come gli spioventi di un tetto affiancati tra loro. Al colmo di ciascun modulo sta un cavo adduttore o ”maestro”, che termina a fondo cieco, dal quale l’acqua trabocca defluendo lateralmente sulle ali per finire poi raccolta da cavi detti “coli”, posti alla base delle ali e ciechi all’origine, che hanno il compito di allontanare l’acqua raffreddatasi nel frattempo, convogliandola in un canale emissario. La stessa acqua di fontanile può alimentare tre o quattro riquadri di marcita susseguenti, fino a che non si sia troppo raffreddata rispetto alla temperatura d’origine, sicché gli ultimi riquadri avranno ali con maggior pendenza e minor larghezza, proprio per ovviare a simile inconveniente.

Durante il resto dell’anno, infine, la marcita verrà gestita come un qualsiasi prato stabile, rispetto al quale fornisce di solito fino a sette sfalci di foraggio e talvolta anche di più,
quando si voglia ottenere un primo taglio già alla fine di novembre o ai primi di dicembre.
Oggi, purtroppo, altri indirizzi colturali nonché i ritrovati dell’industria mangimistica hanno determinato il declino, nel migliore dei casi, ovvero l’abbandono e la trasformazione delle marcite in normali prati o in seminativi. Le rarissime marcite oggi sopravvissute a questo inesorabile processo devono essere considerate dei veri e propri “monumenti” dell’agricoltura lombarda e, come tali, sono meritevoli di sostegno e di conservazione.

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