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La civiltà dei bergamini

26 ottobre 2014 – Convento di San Francesco, Piazza Mercato del Fieno, Bergamo, Aula capitolare, ore 10

Michele Corti, La civiltà dei bergamini. Un’eredità misconosciuta. Una tribù lombarda di malghesi tra i monti e il piano tra il quattordicesimo e il ventesimo secolo, Centro studi valle Imagna, Sant’Omobono, settembre 2014, 460 pp. illustrazioni c/(per saperne di più).

Anni di studio dovevano essere messi a frutto con un volume che rendesse onore ai nostri, antenati malghesi o bergamini. 460 pagine che ‘aprono’ un capitolo sorprendentemente ignorato dalla cultura ufficiale pianocentrica e urbanocentrica. Perché i bergamini erano (sono) personaggi scomodi per la cultura della modernità, per la borghesia, per il progressismo coatto. E’ la rivincita della montagna, dei pastori che fanno conoscere la loro storia. Una storia che racconta come hanno scalzato gli agricoltori imborghesiti dalla conduzione di molte aziende della pianura lombarda, di una mobilità sociale straordinaria, di uno spirito d’impresa controcorrente, ma anche di vera solidarietà di gruppo e di valori solidi, senza le ipocrisie della ‘società stanziale’.

C’è qualcosa di molto moderno nell’azienda bergamina

(Prefazione di Robi Ronza)

Con questa sua  originale e sorprendente ricerca sui bergamini o malghesi Michele Corti apre una pagina che era sin qui ben poco conosciuta anche al pubblico più attento e interessato alla riscoperta della storia e delle civiltà delle Alpi. Al di là di ogni ulteriore valore aggiunto gastronomico, in origine il formaggio era in sostanza la trasformazione in prodotto trasportabile (e soprattutto conservabile a lungo) di un cibo facilmente accessibile, ma altrimenti di difficile trasporto e destinato al pronto consumo.

La sua invenzione costituisce perciò un evento storico di cruciale importanza, grazie al quale già in epoca preistorica l’uomo fu in grado di stabilirsi in montagna potendovi trascorrere pure l’inverno; e abitare quindi  anche territori molto più salubri delle pianure, che in antico erano quasi sempre paludose. Perciò nella storia dell’uomo, in particolare dell’uomo europeo, la vicenda casearia conta assai di più di molte glorie oggi remote di famosi re e condottieri. Allevatori transumanti di bovini per secoli in movimento tra gli alpeggi di montagna e le pianure della Lombardia e dell’attuale Piemonte, i bergamini o malghesi – usciti di scena nella seconda metà del ‘900 – sono all’origine di quel particolare sviluppo dell’arte della trasformazione del latte in formaggio da cui deriva tra l’altro la moderna grande industria casearia italiana, perciò quasi tutta concentrata nel nordovest del nostro Paese. Non a caso sono tutti di famiglie di origine  bergamina i nomi dei marchi delle industrie casearie più note, pur oggi quasi sempre passati in altre mani.

Per molti aspetti vicini, ma in sostanza assai diversi sia dai pastori di ovini che dai contadini di montagna, compresi quelli proprietari di piccole mandrie fatte salire nei mesi estivi dal villaggio agli alpeggi di prossimità, i bergamini erano rispetto ai tempi degli imprenditori agricoli di tutto rispetto. Se sono sfuggiti ovvero sono stati sottovalutati se non misconosciuti da tanti studiosi della società e dell’economia pre-industriale, ciò si deve al fatto che – come bene sottolinea Corti – non rientravano negli schemi della scienza economica e sociale dei secoli XIX e XX, tutta legata all’idea che, nel bene e nel male, prima e al di fuori dell’industrializzazione contassero soltanto la volontà padronale e la proprietà terriera.

Alla base delle imprese zootecniche e casearie dei bergamini, grandi allevatori e produttori di formaggi, c’erano invece in primo luogo la solidarietà familiare, un capitale mobile, il bestiame, e il patrimonio immateriale costituito da una competenza tecnica in campo caseario custodita e tramandata in famiglia. Cascinali di pianura e pascoli di montagna venivano di solito affttati, ma anche quando venivano acquistati non costituivano il cuore dell’azienda. In questo senso c’è paradossalmente qualcosa di molto moderno nell’azienda bergamina, che aiuta a capire come mai le moderne grandi industrie casearie lombarde e piemontesi nacquero per lo più da loro, e non dai proprietari terrieri da cui prendevano in locazione terre e cascine. Con i loro stagionali spostamenti dalle Alpi alle pianure, e anche con i frequenti cambi di luogo delle loro soste invernali in bassa quota, i bergamini furono in ne pure un fattore di relazione tra la società delle terre alte e quelle delle pianure, facilitando così scambi di idee e di esperienze in un’economia agraria ancora molto statica. Per tutti questi motivi  l’opera di Michele Corti si raccomanda alla lettura non solo di un pubblico di proverbiali “addetti ai lavori”, ma anche di chiunque abbia interesse e attenzione per la straordinaria capacità che l’uomo ha, almeno  finché il potere non glielo impedisce, di trasformare le difficoltà un motore di progresso.

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