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Libro “Transumanza tra storia e presente”

Titolo: La Transumanza tra storia e presente; Collana: Studi sulla transumanza e l’alpeggio; Curatore: M. Corti Edizioni: Festivalpastoralismo Anno di edizione: 2019 Luogo di edizione: Corna Imagna Pagine: 217

Il Festival del pastoralismo presenta il primo volume delle edizioni Festivalpastoralismo. Il tema non poteva che essere la transumanza. Grazie al Festival alcuni materiali di interessanti seminari sul tema della transumanza e dell’alpeggio vengono ora pubblicati. Un contributo utile e opportuno in un contesto in cui la transumanza è oggetto di candidatura Unesco quale “patrimonio immateriale dell’umanità” e in cui la città di Bergamo è stata riconosciuta “città creativa per la gastronomia” dalla stessa Unesco. Un riconoscimento ottenuto grazie ai formaggi della tradizione casearia orobioca che affonda le sue radici nell’epica transumanza dei bergamini. Nel volume sono contenuti due contributi sui bergamini che hanno coinciso con una riscoperta di questo fenomeno quasi unico. Esso caratterizza la Lombardia come una delle regioni più importanti per i fenomeni della transumanza in relazione all’ampiezza temporale e geografica e dlel’importanza economica che la transumanza dei bergamini con le loro vacche da latte e i loro formaggi ha rivestito nel corso di sei secoli. Il volume tratta anche di transumanza ovina in Friuli, Veneto, Piemonte, Liguria e di transumanza bovina in Veneto tra l’altopiano dei Sette Comuni e le “valli” della pianura veneta. Per chi volesse saperne di più riportiamo la nota del curtatore e la prefazione al volume.

NOTA DEL CURATORE

Questo volume ha avuto una lunga ‘incubazione’. Tutto nasce nel lontano 2005 in occasione di in un seminario ben riuscito sul tema della transumanza alpina e dell’alpeggio che voleva essere il primo di una serie. Da qualche anno si era registrata, con la costituzione della Sozooalp (Società per lo studio e la valorizzazione dei sistemi zootecnici alpini), una ripresa di interesse degli studiosi di matrice agraria‐forestale‐veterinaria per il tema dell’alpeggio, non considerato più come una realtà ‘residuale’ ma come, al contrario, un bellissimo esempio di agricoltura multifunzionale, tale da costituire uno stimolo al superamento – anche in un più ampio contesto – delle ristrette visioni aziendalistiche e tecnicistiche che caratterizzano tuttora gli studi in campo agrario. Nulla di più lontano della rievocazione del ‘presepe’ (che pure un certo neoruralismo di stampo consumistico e ruffiano tende a promuovere). Non a caso il seminario in discorso venne organizzato come ‘evento satellite’ del convegno Sozooalp che si teneva ad Asiago negli stessi giorni. Era il riconoscimento che la ‘multifunzionalita’ agricola, specie quando si parla di alpeggi, di montagna, deve avvalersi del recupero di tutte le risorse culturali legate alla vita e al lavoro alpestri. Solo con la ricerca nell’ambito dell’etnografia storica si evita il rischio di inventarsi tradizioni estranei ai contesti ecoculturali, di cadere nella ‘presepizzazione’, in una banale commodificazione del patrimonio culturale (in senso ampio).

La comprensione dei nessi tra sistemi di allevamento, risorse genetiche animali, ambientali e culturali, la comprensione delle peculiarità dei metodi, delle tecniche di produzione e trasformazione dei prodotti animali richiede la conoscenza storica degli scambi territoriali, delle relazioni commerciali, delle aree di approvvigionamento del bestiame ‘da vita’. C’è un vasto ambito di studi storici che potrebbero far luce su queste relazioni e aiutarci a comprendere meglio il significato di risorse ancora presenti; quindi aiutarci a valorizzarle al meglio. Al centro delle relazioni ecologiche, economiche e culturali che interessano la montagna alpina e i suoi sistemi di produzione animale, vi sono senza dubbio i fenomeni della transumanza e dell’alpeggio, due forme adattative molto antiche che sfruttano la prossimità (sia pure su scale geografiche diverse) di ambienti con condizioni profondamente diverse e il loro utilizzo in diverse fasi del ciclo delle stagioni. Nell’alpeggio predomina la componente della migrazione verticale, nella transumanza c’è il trasferimento (con componente principale di dislocazione in orizzontale) in altri territori, solitamente di pianura. Dal punto di vista sociale la differenza tra le due forme è notevole perché il transumante esce dalla sua comunità, dai suoi confini fisici e si trasferisce periodicamente in contesti sociali diversi dove è, almeno in parte uno ‘straniero’. Una semplice osservazione, quest’ultima, che si suggerisce quanto sia importante la componente socio‐antropologica nella comprensione dei sistemi territoriali di produzione animale. Questa componente è stata del tutto ignorata dagli studi agrari. La ‘sociologia rurale’ in Italia, dopo la stagione dei ‘metal‐mezzadri’ è quasi scomparsa ma, del resto, anche la storia rurale ha uno status deplorevole. Si assegnano all’agricoltura, a parole, funzioni sociali e ambientali ma l’orizzonte della ‘nuova agricoltura’ è sempre più ristretto alle applicazioni tecnologiche (bio e non).

Il risveglio di interesse per l’alpeggio e la transumanza è da questo punto di vista un fatto molto positivo. Specie se si consideri che coinvolge agronomi e storici, due categorie di studiosi che, in passato, hanno lasciato ai geografi il compito di occuparsi di alpeggi e transumanze per tutta la prima metà del Novecento. Esaurita questa stagione, oggi solo un interesse interdisciplinare per questi temi può far progredire le nostre conoscenze su realtà che non cessano di riservare sorprese, nel loro unire ‐ come poche altre ‐ passato e presente, dimensione sociale e dimensione ‘naturale’.

Il seminario di Asiago, condotto in chiave storica ma anche attuale, era riuscito a raccogliere studiosi non solo di diversa matrice accademica (compresi gli archeologi che, hanno notevolmente intensificato in anni recenti gli studi sull’alpeggio) ma anche da tutte le regioni alpine come testimoniano i contributi qui raccolti: uno dalla Liguria, tre dal Piemonte, quattro dalla Lombardia e uno dal Friuli. Esso ha anche avuto il merito di mettere a confronto l’ambito accademico e quello degli studiosi locali. Ambiti spesso divisi da reciproca diffidenza ma che su temi come questi possono collaborare in modo proficuo.

Nel 2007 i contributi erano già stati revisionati dagli autori ed era stata predisposta una prima bozza di stampa. Come spesso capita quando ci si affida alla disponibilità di finanziamenti legati a progetti, le speranze di disporre delle risorse per la stampa andarono deluse e, per restituire comunque qualcosa di tangibile agli autori ‐ a fronte del loro impegno ‐ decisi di pubblicarli sul sito del ruralismo alpino di cui sono titolare (www.ruralpini.it). A quel primo seminario di Asiago del 2005 ne seguirono altri due: uno, l’anno successiv,o a Pontebernardo ‐ in alta valle Stura di Demonte ‐ l’altro, nel 2009, a Pezzo di Pontedilegno (alta val Camonica).

Il tema della transumanza e dell’alpeggio ha trovato poi una sua collocazione in un festival dedicato. Organizzato per la prima volta a Cuneo nel 2013 (con il titolo di Terre d’Alpe), si è poi ‘stabilizzato’ a Bergamo dove si tiene tutti gli anni, dal 2014, il Festival del pastoralismo. Nel 2018 il cerchio si è in qualche modo chiuso con l’organizzazione di un convegno di studi su: La mobilità dell’allevamento in età moderna e contemporanea, Lombardia e altre regioni alpine che ha visto la partecipazione anche di studiosi di altri paesi alpini e che vuole riproporsi a cadenza biennale, un importante risultato per i cultori di questo campo di studi. Durante la preparazione del convegno Gianpiero Fumi ebbe modo di esprimere il suo apprezzamento per i contenuti del seminario di Asiago, auspicandone la pubblicazione in forma di volume.

Pur essendo trascorsi parecchi anni (nel frattempo, segno ancora dell’interesse per la materia e della qualità dei lavori qui presentati, alcuni di essi ‐ al tempo in forma preliminare ‐ sono diventate altrettante monografie pubblicate), il ‘corpo’ di contributi raccolti in quella occasione rappresenta quanto di più organico prodotto sinora nell’ambito delle Alpi italiane. Non mancano infatti studi specifici relativi a singole regioni o ad ambiti più ristretti e diverse pubblicazioni di carattere tecnico (sugli alpeggi), ma nessuno abbraccia l’intero Arco e l’insieme dei fenomeni qui trattati. A stimolare la pubblicazione dei lavori contenuti nel presente volume hanno contributo anche l’infittirsi di studi e progetti sul tema della transumanza e la candidatura della medesima a ‘patrimonio immateriale dell’umanità’. Il Festival del pastoralismo ha inteso con questa pubblicazione, che inaugura la propria attività editoriale, apportare un contributo al fervore di iniziative in atto sul tema. Crediamo anche che l’interesse per i temi qui trattati possa e debba allargarsi al di là della cerchia degli addetti ai lavori. Da questo punto di vista sarà interessante verificare anche il riscontro che otterrà presso i lettori questo libro.

Il curatore Michele Corti

Presidente del festival del Pastoralismo – Bergamo

PREFAZIONE
di Gianpiero Fumi . Ordinario di Storia economica. Università cattolica del Sacro Cuore, Milano

Il sistema della transumanza ha caratterizzato vaste plaghe sino a tempi relativamente recenti. Per le epoche più antiche non fa problema ammettere la mobilità stagionale del bestiame: la popolazione presentava una bassa densità territoriale e il bestiame era scarso, e ciononostante le superfici prative erano limitate e molte pianure insalubri. Si trattava di una forma non intensiva di utilizzo del territorio in condizioni di pressione limitata sulle risorse. Con l’aumento della popolazione e della domanda di prodotti agricoli e zootecnici, l’incremento del bestiame grosso fu possibile anche dalla transumanza, che si è evoluta adattandosi all’evoluzione giuridica, tecnica ed economica dell’agricoltura. Nell’Italia settentrionale essa ha convissuto con appoderamenti e recinzioni, la riduzione dei pascoli collettivi, l’introduzione della stabulazione fissa, la congiunzione di allevamento e coltivazione entro un’unica azienda. E lungi dall’essere un’attività seminomade, si è perfettamente integrata nei differenti sistemi agricoli tra cui si muoveva, a monte e a valle. Ha valorizzato terreni altrimenti inutilizzabili, offrendo un contributo decisivo alla messa in valore delle ‘terre alte’; ma anche alla biodiversità delle risorse e alla tenuta degli ecosistemi. Sino a Novecento inoltrato ha fornito materiale genetico alle pianure sottostanti. Con gli spostamenti di ovini e bovini si sono diffuse anche le competenze tecniche, lo spirito imprenditoriale, i capitali. E forse dagli studi emergerà come l’attuale ricerca di una zootecnia più rispettosa dell’ambiente, dei consumatori e degli animali rispetto a quella prevalsa nell’ultimo settantennio debba molto al modello transumante di allevamento. Nel nostro paese la mobilità del bestiame è stata lungamente rappresentata come una realtà residuale, un reliquato del passato destinato ad essere spazzato via dall’avanzata di forme più efficienti di allevamento e di sfruttamento del suolo. Arthur Young, il grande agronomo inglese che a fine Settecento visitò e descrisse le campagne del Nord Italia, non ne fa alcun cenno. Altri studiosi di agricoltura furono più espliciti e non risparmiarono critiche ai pastori. E insieme invitarono a «liberarsi dai bergamini» tanto nella loro veste di allevatori quanto in quella di casari. Questo volume fornisce un contributo importante a capire l’ampiezza e la durata del fenomeno della transumanza. Non è certo una storia minore. I suoi protagonisti, pastori e mandriani, compongono gruppi compositi dal punto di vista sociale. In genere le fonti li rappresentano come «tutta gente povera», ma a ben guardare vi sono malghesi con sessanta vacche mentre altri cercano lavoro come ‘famigli’, cioè semplici addetti alla cura del bestiame. Molti di essi erano dotati di capacità tecniche, vaste conoscenze commerciali, spirito imprenditoriale. È improprio parlare di ‘sconfitta del pastoralismo’. La storia della transumanza ha un epilogo che spesso vede l’inserimento dei malghesi nelle aziende di pianura come conduttori dell’intera azienda o persino come proprietari. Questo innesto degli allevatori transumanti nelle aziende agricole, e anche nelle industrie lattiero‐casearie di pianura, in un certo senso rappresenta la chiusura di un cerchio secolare il cui inizio, secondo Carlo Cattaneo, coincide con le origini stesse dell’agricoltura intensiva nella Bassa Lombardia: «l’alta coltura doveva più facilmente cominciare in quelle famiglie che già possedevano il primo e più prezioso strumento di essa, cioè un considerevole capitale investito in bestiame», vale a dire dai malghesi provenienti dalle Alpi.

Non solo l’epilogo, ma anche le fasi intermedie di questa storia meritano di essere ripensate in termini meno ‘declinisti’ e residuali. Se dal Quattro e Cinquecento nelle regioni alpine si è verificata una ‘rivoluzione pastorale’ con lo spostamento dell’asse principale dalla coltivazione all’allevamento e con la colonizzazione delle alte valli, l’allevamento d’altitudine e transumante ha registrato una tenuta sino a Novecento inoltrato. Certo modificando le modalità e il raggio degli spostamenti, accettando alcuni limiti imposti per ragioni sanitarie, ecc. Tra Otto e Novecento tecnici e amministratori, comunità locali, istituzioni agrarie e lo Stato si impegnarono a sviluppare l’alpicoltura per migliorare i pascoli, le malghe e gli animali. La rinnovata attenzione all’agricoltura e alla zootecnia di montagna è comprovata dagli studi sui pascoli alpini della Lombardia, allora condotti da Arrigo Serpieri per la Società agraria di Lombardia, oppure dalle inchieste sulle malghe trentine per opera delle autorità locali … Lo dimostrano anche i provvedimenti per la montagna, che arrivarono sino all’istituzione di uno speciale Segretariato nazionale per la montagna. Rientrano in questo movimento anche altre iniziative dell’epoca come il miglioramento della razza Bruna alpina, l’affitto collettivo degli alpeggi, la monticazione. .

In un lavoro pionieristico pubblicato durante la seconda guerra mondiale, La transumanza sul versante italiano delle Alpi, Roberto Pracchi dedicava l’opera ai suoi studenti universitari e rivolgeva loro l’invito a collaborare alla raccolta di ulteriori dati e notizie e studiare qualche valle delle Alpi. Oggigiorno un simile invito non avrebbe alcuna possibilità di essere raccolto. L’Italia è un paese che deve moltissimo alle sue cento agricolture, non certo riducibili all’opposizione tra aree interne e pianure, tra l’’osso’ e la ‘polpa’. Ma come noto nelle università la storia dell’agricoltura non è più presente come disciplina autonoma: pochissimi i corsi attivi, tutti opzionali, di pochi crediti e tenuti da specialisti di discipline eterogenee. Né mi sembra che le ultime generazioni di ricercatori che si occupano di paesaggio, ambiente, biodiversità, sostenibilità, tipicità alimentare o sviluppo locale colgano la necessità di confrontarsi con la dimensione storica dei fenomeni che indagano. Nel nostro caso non solo l’allevamento transumante, ma l’intera storia dell’allevamento non è stata considerata sinora con la dovuta attenzione da parte degli studiosi, malgrado la sua importanza ambientale, economica e sociale. L’evoluzione del settore rimane largamente in ombra e con esso i suoi protagonisti, dagli allevatori ai lavoratori, dai mediatori di bestiame ai tecnici. Anche gli animali, che nel tempo sono profondamente mutati. Il seminario di studio di Asiago di cui sono qui presentate le relazioni, primo di una serie di iniziative sulle transumanze alpine promosse da Michele Corti – come le Giornate della transumanza, il Festival del pastoralismo e il convegno internazionale di studi tenutosi a Bergamo e San Giovanni Bianco nel 2018 – mette fine a quel disinteresse. Un disinteresse forse più accademico che sociale, se si guarda all’eco che tali eventi hanno nelle valli più coinvolte dal fenomeno, e al vasto interesse suscitato anche da altri lavori più divulgativi relativi a malghesi e ‘bergamini’ nel contesto della pianura lombarda. Nell’ultimo ventennio l’intera area alpina è divenuta un corposo ambito di studi, necessariamente multidisciplinari e internazionali, con speciali riviste, centri di ricerca, progetti. Alla luce di questo volume e degli altri lavori dei suoi autori, v’è da credere che in questo ambito, come in quello più generale della storia degli ecosistemi agrari, i temi del «trafichi de bestiami vachini» e del pastoralismo saranno ancora fecondi di nuovi risultati. Anche per le potenzialità delle fonti di cui le pagine che seguono forniscono qualche assaggio, dagli archivi parrocchiali a quelli notarili, dalle rilevazioni fiscali alle incisioni lasciate da pastori e bergamini nel loro puntare verso il cielo.

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