I tezzoni del salnitro (pecore e artiglieria)

 

Tezzone

I tezzoni del salnitro

da: Le polveriere venete a cura di Pino Capellini, Lions Club Bergamo Host, bergamo 1987

Per la produzione del salnitro, principale ingrediente della polvere da sparo, Venezia istituì sia i luoghi di produzione, ossia i “Tezzoni”, sia la figura del “salnitraro”. Attraverso quest’ultimo Venezia gestiva,in regime di monopolio,la raccolta del salnitro e la sua raffinazione in nitrato di potassio. Pur essendo un privato, il “salnitraro”, che beneficiava di appalto in esclusiva, in realtà era una specie di agente statale, la cui attività era disciplinata ed anche protetta da norme particolari.Mentre gli altri due ingredienti, zolfo e carbone, erano facili da procurare, non altrettanto poteva dirsi per il salnitro, di cui occorrevano quantitativi sempre maggiori entrando nella composizione della miscela esplosiva per una parte che era quasi del 75 per cento. Il salnitro compariva sotto forma di efflorescenze o di aggregati di minutissimi aghi sulle pareti delle stalle, delle cantine e degli ambienti umidi; lo si poteva trovare anche nel terreno di varie zone dell’Europa, ed in particolare della Francia e della Lombardia, ma abbondava soprattutto nei luoghi saturati da orina e da feci, ovunque fosse possibile l’azione di speciali batteri nitrificanti. Il salnitraio e i suoi lavoranti potevano in un qualsiasi momento scavare nelle stalle e nelle cantine per prelevare il terreno ricco di nitrati, ed era fatto divieto non solo di ostacolarli ma anche di intervenire sulla raccolta, spazzolando ad esempio, i muri. La maggior produzione avveniva attraverso le “tezze”o i “Tezzoni”. Si trattava di ampie tettoie sotto le quali venivano fatte ricoverare le pecore. Il fondo era costituito da terra opportunamente scelta, che si imbeveva di escrementi dando luogo alla formazione del salnitro. Dopo un certo periodo di tempo la terra veniva rimossa e sottoposta a trattamento per togliere i sali di nitro mediante ad una lavatura con acqua; il liquido così ottenuto conteneva il salnitro disciolto che veniva recuperato mediante evaporazione. A Bergamo si incominciò la costruzione del tezzone del salnitro nel 1573, ma i lavori vennero terminati solo nel 1588.

L’edificio si trovava nel Prato di Sant’Alessandro, a non molta distanza dall’Ospedale Maggiore, o di San Marco. L’area occupata era quella oggi compresa tra la Banca Popolare di Bergamo e l’incrocio tra il viale Vittorio Emanuele e via Tasca. Donato Calvi nell'”Effemeride”riferisce che sopra l’ingresso al tezzone, dominato dal Icone di San Marco, spiccavano gli stemmi del Doge, del Provveditore alle Artiglierie Giovanni Bondumiero e del capitanoMichele Bono, oltre a quelli dei rettori Paolo Contarini e Paolo Loredano. Nel frattempo il capitano Marc’ Antonio Memmo (1576) aveva provveduto a far costruire due”tezze” in muratura, una ad Osio Sotto e l’altra a Spirano, che consentivano una più abbondante produzione di salnitro in sostituzione della raccolta occasionale nelle stalle.Il capitano Memmo fu il primo ad occuparsene in modospecifico. Per conservarlo fece sistemare nella Cittadella unmagazzeno in disuso e si preoccupò anche della casa delsalnitraio, in modo che lo stesso potè risiede stabilmentea Bergamo.

Dalla relazione del capitano Giovanni Da Lezze di vent’anni dopo apprendiamo che le “tezze” nella Bergamasca sono salite sei: a Bergamo, Osio Sotto e Spirano si sono aggiunte le località di Martinengo, Mornico e Terno d’Isola, mentre se ne suggerisce una settima per Sarnico. Nel 1598 la quantità di salnitro prodotto è notevole, al punto che il capitano Girolamo Alberti propone che si costruisca un deposito per non dover più mandare il salnitro a Venezia e perché si possa fabbricare localmente la polvere, facendo fronte in questo modo alle crescenti richieste della fortezza, dove le scorte erano solo la metà del necessario. Qualche tempo dopo, nel 1601, il capitano Stefano Trevisan ebbe modo di scoprire che i salnitrai erano venuti meno all’obbligo di fornire i quantitativi necessari, per cui fu costretto ad andare alla ricerca di salnitro al di fuori dei confini dello Stato, a Trento, nel Genovese e fin nei Grigioni, a Chiavenna e a Zurigo. Dopo aver intrattenuto rapporti con Nova Genovese, finì con lo stringere un accordo con un mercante d’oltralpe, importando salnitro di ottima qualità, che probabilmente venne fatto arrivare attraverso la Strada Priula. Nella Bergamasca si giunse ad avere fino ad otto “tezzoni” ma, nel momento stesso in cui nel 1623 li cita, il capitano Alvise Mocenigo ammette che sono tutti piuttosto malconci.

La loro attività proseguì per tutto il Settecento. Ne abbiamo notizia attraverso i numerosi proclami pubblicati per regolamentare il pascolo delle pecore e delle capre nella Bergamasca con l’introduzione di norme restrittive, che però non si applicavano quando si trattava degli animali necessari ai “Tezzoni”, per ciascuno dei quali era previsto un gregge di duecento pecore. Assieme ai”Tezzoni” fu anche necessario disciplinare la condotta dei salnitrai e dei pastori. I primi affittavano ai pastori i pascoli loro assegnati ma non si preoccupavano di tenere le pecore negli appositi recinti, per cui la produzione di salnitro ne risentiva; i secondi, quando custodivano le pecore per conto dei salnitrai, abusavano del loro compito, invadendo terreni vietati. Del “tezzone” di Bergamo abbiamo una interessante testimonianza nel sopralluogo compiuto dal Ping. Urbani, esplicitamente richiesto dal “salnitraro” il quale si lamentava del pessimo stato dell’edificio. L’Urbani stese una relazione sulle condizioni della grande tettoia e dei locali annessi, schizzando anche una planimetria con le misure e il prospetto della facciata; documento veramente raro, che è custodito, come molte altre carte relative all’attività dell’Urbani, alla Biblioteca “Mai”. Il “tezzone” al Prato di Sant’Alessandro rimase in uso fino all’800, mentre l’area adiacente alla Fiera veniva gradualmente sistemata fino a diventare la piazza Baroni.

L’edificio fu radicalmente trasformato nel 1821 per farne il mercato delle granaglie. Come risulta da poche note trovate nel n.5 del “Giornale di indizi giudiziari” del 1° febbraio 1821, dove si informa che in piazza Baroni la fabbrica dei nitri, detto il “Salmister”, veniva trasformata in “pubblica vendita di granaglie al coperto”. Aggiunge il giornale: “L’impresa di questo lavoro è diggià incominciata, e compiuta che sia noi avremo un’area ancor più vasta adiacente a questo ampio porticato, con casini laterali per uso degli inservienti, e chiuso da tre rastelli di ferro”.

Un pensiero su “I tezzoni del salnitro (pecore e artiglieria)

  1. Interessante! Mi chiamo Gabriele Salini, sono un pensionato di origine abruzzese. Tempo fa raccogliendo informazioni dai parenti sulla origine del cognome scopro che lontani antenati, ebrei conversi, si trasferirono dalla Sicilia in Abruzzo, ma per fare cosa? Mi chiesi! Ebbene grazie ad alcune illuminate pubblicazioni tra le quali il presente articolo, un libro antico sulle nitrerie del regno di Napoli e ad un documento del catasto annonario del comune di origine del 1748 nel quale si cita ” una caldara giusta murata”, mi sono persuaso del perche’: l’Abruzzo era ed e’ terra di pascoli ovini dai quali si ricavava lo stabbio, materia prima per la produzione del salnitro. Nel dialetto siciliano il salnitro era semplicemente ” u salinu”. Era una attivita’ in mano agli ebrei che l’avevano sviluppata nelle grotte iblee. Se si analizza la distribuzione geografica del mio cognome nell’Italia settentrionale si scopre che coincide con gli antichi stabilimenti di produzione della polvere da sparo, penso in definitiva che con tale termine si intendesse definire i salnitrari. Le sono grato!

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