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Visite guidate

… una pianura da scoprire di rogge, mulini, santuari campestri, tesori d’arte

Transumanza dei bergamini (Bergamo – Lodi vecchio) 25/09/2021 – 03/10/2021. Tappa per tappa i siti che saranno meta delle visite guidate (a piedi e in carrozza)

La Transumanza è anche un viaggio, a passo lento, alla scoperta di borghi e campagne. Una singolare proposta di turismo culturale. Le visite guidate proposte dalla Transumanza dei bergamini 2021 sono organizzate in quasi tutte le tappe. Se, da una parte, la Transumanza dei bergamini si prefigge di far conoscere alle comunità attraversate un aspetto di storia economica e sociale poco conosciuto (ma che le riguarda e ha spesso a che fare con l’origine di molte famiglie, specie agricole) dall’altra vuole far conoscere aspetti del territorio (naturali, paesaggistici, monumentali, storici). Sono aspetti che si intrecciano con la storia della transumanza e dell’agricoltura e che, in ogni caso, rappresentano parte di un patrimonio culturale di una pianura lombarda per molti versi da scoprire, un patrimonio costituito da chiese e santuari campestri (che spesso custodiscono preziose opere d’arte) archeologia industriale, mulini, fontanili, opere di irrigazione, corsi d’acqua oltre che da basiliche, castelli, aree archeologiche.

Le visite sono aperte a tutti e gratuite, pensate per chi segue la transumanza a piedi e vuole vivere un’esperienza di turismo very slow ma anche per chi, abitando in zona o da fuori, vuole conoscere meglio beni che molto spesso non sono aperti alle visite. L’iniziativa è organizzata grazie alla collaborazione di enti (comuni, fondazioni) e associazioni di volontari (pro loco, amici di…) che forniranno il supporto di persone esperte della storia locale e degli aspetti del patrimonio culturale e naturale oggetto della visita. Oltre alle visite a piedi, che si svolgeranno a gruppi nell’ambito dei centri storici e negli immediati dintorni dei siti di tappa, vi saranno anche visite ai dintorni in carrozza trainate da cavalle e mule (“Mule di San Cipriano”, Chieve). A Rivolta d’Adda, Pandino, Monte cremasco e Dovera.

Per gli orari consultare il Programma generale e, sul posto, all’arrivo della carovana della Transumanza, fare riferimento al gazebo delle informazioni. Qui il percorso della Transumanza e la localizzazione delle tappe.

Le località dove verranno effettuate le visite guidate

Osio sopra

La Rasica rappresenta un grandioso complesso di archeologia industriale. Il nome della località deriva dalle segherie che, insieme ai molini, sin dal XV secolo sfruttavano le acque derivate dal Brembo. La roggia Brembilla, come altre derivate dal Brembo e dall’Adda, oltre a scopi irrigui servirono ad innescare, grazie alla disponibilità di energia, i processi di industrializzazione lungo le aste. Risalente al 1872 la grande filanda raggiunse il massimo di splendore agli inizi del Novecento quando arrivò a dare lavoro a 700 dipendenti. Con la crisi del tessile le attività vennero gradualmente abbandonate spostandosi su capannoni di nuova costruzione per poi cessare quasi del tutto Insieme ad altre aree dismesse, considerate prioritarie dalla Regione Lombardia, la Rasica attende un piano di recupero

Villa Andreani , conosciuta anche come palazzo Camozzi-Andreani, edificata nel XVIII sec., oggi proprietà comunnale ma inagibile. Da tempo in attesa di interventi. Dotata di portico e di giardino (visitabile) e ampie corti con rustici.

La parrocchiale di S. Zenone (docum. nel sec. XIII) nella forma attuale risale al sec. XVIII (arch. F. Galliari), dipinti di pittori lombardi, facciata del 1929. Si dive edificata con materiali provenienti dal castello.

Il Linificio e canapificio nazionale di Fara Gera d’Adda risale al 1870. Ad esso si deve la trasformazione di un piccolo centro agricolo in un grosso paese operaio. A fianco degli stabilimenti vennero realizzati convitti e case operaie che influenzarono profondamente l’assetto urbanistico di Fara pur non assumendo il carattere del villaggio operaio autosufficiente della vicina Crespi d’Adda. Gli opifici si avvalevano dell’energia di turbine idrauliche alimentate da un canale parallelo al corso dell’Adda. Nei primi decenni del Novecento un generatore a vapore venne affiancato alla centrale idroelettrica per sopperire alle magre del fiume. La vastità del complesso del Linificio, come nel caso della Rasica di Osio sopra, ha determinato l’inserimento di questa grande area dismessa nel novero di quelle di intervento prioritario della Regione Lombardia. Per facilitare l’afflusso agli opifici degli operai che provenivano dai paesi della sponda milanese, nel 1876 venne realizzata una passerella in struttura metallica per l’attraversamento pedonale del fiume. La passerella, ora chiusa per opere straordinarie di messa in sicurezza, è diventata un’attrazione turistica importante, specie nell’ambito di itinerari ciclabili.

Fara Gera d’Adda, custodisce un monumento antichissimo: la basilica Autarena, così chiamata in quanto eretta dal re longobardo Autari nel VI secolo. La basilica era a tre navate di cui sopravvive solo quella centrale. Dall’esterno è ben visibile l’abside poligonale suddivisa da lesene. Fara Gera d’Adda era al centro di un’area di forte insediamento longobardo e il toponimo “fara” (che ritroviamo anche a Bergamo alta) rimanda all’unità base sociale e guerriera del popolo longobardo, simile al clan celtico ma più strutturata in senso militare. Il duplice nome del comune rispecchia sia la storia che i caratteri naturali del territorio (la Gera d’Adda). La gera (termine lombardo per “ghiaia”) rimanda alla struttura ghiaiosa dei terreni ricchi di ciotoli trasportati dalla forza delle correnti fluviali in spessi strati. La Gera d’Adda si estendeva dal Fosso bergamasco (linea di confine tra lo stato di Milano e la repubblica di Venezia) a Lodi, comprendendo il Trevigliese, il Pandinasco, l’area a Nord di Crema e i comuni lodigiani sulla sponda sinistra del fiume. La chiesa parrocchiale di Sant’Alessando riprese l’antica dedicazione della basilica eretta da Autari. Risale al Seicento, e venne trasformata alla metà del Settecento. Nonostante la dedicazione al patrono di Bergamo, la parrocchia di Fara, come tutto il decanato di Treviglio, appartiene alla diocesi di Milano. La Gera d’Adda è terra di incontro e sovrapposizione delle influenze milanesi, bergamasche, cremasche e cremonesi. Gli attuali confini delle quattro diocesi, tendenzialmente più antichi (salvo la “novità” della diocesi di Crema istituita solo nel 1580) nella loro marcata divergenza da quelli provinciali, testimoniano della variabilità, nei secoli, dei confini politici e amministrativi.

Confronto tra limiti provinciali e diocesani.

Rivolta d’Adda

A Rivolta si trova una delle testimonianze più significative dell’architettura romanica lombarda: la basilica di Santa Maria e San Sigismondo. Essa risale all’XI secolo e presenta evidenti analogie con Sant’Ambrogio a Milano. San Sigismondo nei secoli subì diverse trasformazioni e assunse un aspetto molto influenzato dal barocco e dal neoclassico. Tra il1902 e il 1907, l’architetto Nava intraprese un restauro estremamente impegnativo con il fine di riportare il tempio alle forme romaniche. Anche se, al giorno d’oggi, le metodologie di restauro seguono criteri molto differenti, in modo non confondere ciò che è originale da integrazioni e aggiunte “verosimili”, va precisato che il Nava, oltre che sui documenti, si basò su indagini archeologiche tanto che si tende a rivalutare o quantomeno a moderare le valutazioni critiche del recente passato. Eliminati tutti gli elementi non romanici che erano stati aggiunti nel corso dei secoli si dovettero comunque rifare parecchi capitelli e fregi (autore il tagliapietre Giuseppe Verischi di Cassano d’Adda). Originali o meno, i capitelli di San Sigismondo sono un esempio di un ricco bestiario fantastico medievale che ci riconsegna un’espressione peculiare della cultura e dell’immaginario dei quei tempi. Nel 1905-06 fu aggiunto il portico antistante la fronte, previsto dal progetto medievale, ma mai realizzato. Collocata al centro della piazza, la basilica è valorizzata da un intorno urbano che non ha subito gli scempi dei centri storici di tante altre località (non è stato edificato nulla oltre i due piani).

Tra le altre chiese di Rivolta si distingue quella dell’Immacolata Concezione che si trova nella piazza Vittorio Emanuele di fronte alla basilica romanica e venne costruita verso la fine del XV secolo in stile gotico lombardo. Presenta una sola navata divisa in due campate con volte a botte. All’interno decorqazzioni del XVI secolo. L’altare è rivolto a Ovest, perché probabilmente la chiesa era legata al culto dei defunti Sempre al XI secolo risale la sommità turrita del campanile di San Sigismondo che è il simbolo di Rivolta.

Crocevia di diverse influenza, al cuore della Lombardia, il territorio di Rivolta fu assegnato da Napoleone, dopo secoli di legame con Milano, a Bergamo per poi passare a Lodi-Crema con il Lombardo-Veneto e a Cremona con l’unità d’Italia. In tutti questi passaggi il territorio ha mantenuto un suo carattere peculiare senza identificarsi con i vari capoluoghi ai quali ha fatto riferimento.

Nei dintorni di Rivolta vi sono monumenti “minori” che, però, sono testimoni di importanti circostanze storiche. Uno si questi è l’oratorio del Paladino (sotto a sinistra) sorto dove sorgeva un fortilizio del XI-XII secolo che doveva proteggere i numerosi insediamenti agricoli (ancor oggi vi è la cascina Castello). L’oratorio venne costruito nella metà del Quattrocento. Dedicato alla Vergine e a San Maurizio è a una sola navata coperta da una volta a botte con una cappella laterale munita di pronao, probabilmente ampliamento della metà del Seicento. Vi si custodiva una bellissima ancona di Bongiovanni De Lupi, attualmente nella casa parrocchiale. Nei pressi dell’oratorio si trova un fontanile. La chiesa del Corneanello (Santa Maria del Corgnano)(sotto a destra), sull’antica strada per Casirate, venne edificata nel XII secolo nei pressi di un castello che esisteva già nel secolo precedente (antica Curtinianum). Corneano (Cornigliano) e Corneanello sono anche delle cascine che, ancora in tempi recenti erano frequentate dai bergamini transumanti che svernavano nella Gera d’Adda.

Pandino

Il castello visconteo di Pandino è una delle più significative realizzazioni dell’architettura militare viscontea. Ed è anche una delle meglio conservate, sia pure priva di alcuni elementi originari. Fu costruito tra il 1354 e il 1361 da Regina della Scala, moglie di Bernabò Visconti. Nella concezione di palazzo fortificato che unisce le funzioni militari a quelle di residenza, il castello di Pandino ha anticipato le forme grandiose del castello di Pavia. L’aspetto originale del castello lo si può osservare nel disegno in alto a sinistra. Sono andate perdute due delle torri, quelle occidentali, non per vicende belliche ma perché, divenute pericolanti, furono mozzate nell’Ottocento. Sono state perse anche le merlature, probabilmente eliminate nel Settecento quando il monumento era stato trasformato in edificio rurale. Le facciate sono scandite in modo regolare da bifore e monofore. Il cortile è circondato da un portico con archi acuti come in altri castelli viscontei, soprastate da una loggia con campatelle spartite da snelli pilastrini. Il castello conserva anche pregevoli decorazioni pittoriche trecentesche, basate sullo schema del quadrilobo e sull’alternanza dello stemma della vipera con quello della scala.

Nella seconda metà del Quattrocento, gli Sforza, in funzione del rafforzamento dei dispositivi difensivi da contrappore ai veneziani, aggiunsero due torrioni ai due ingressi, muniti di ponte levatoio. Il castello venne salvato dallo stato di degrado in cui versava dalle amministrazioni comunali di Pandino dopo l’acquisto da parte del comune nel 1947. Il comune, che qui trasferì i suoi uffici e sistemò il convitto della Scuola casearia, ha continuato a curare la manutenzione del manufatto.

Si rimanda alla scheda Lombardia beni culturali per notizie più approfondite sul castello.

Una cartolina d’epoca con la vecchia sede della scuola

Una vera e propria istituzione di Pandino è la ormai storica “Casearia”, la scuola (nata come corso biennale) nel lontano 1954 per sfornare “esperti casari”. Il 1° ottobre 1954, primo giorno di scuola (avviata “clandestinamente” in assenza di un’autorizzazione che arriverà solo più tardi) vennero lavorati a taleggio due quintali di latte (come non avrebbe potuto essere diversamente data la tradizione locale dei bergamini?). La caldaietta di rame allora impiegata è esposta ancor oggi come cimelio storico nell’atrio della scuola. Dagli anni ’80 la scuola ha sede nuovo edificio, prossimo al Castello Visconteo, con il moderno caseificio didattico inaugurato nel 1989. Per molto tempo la scuola rappresentò un’esperienza unica in Italia, molto innovativa. Fortemente volta dal suo fondatore, Alfredo Maestretta, che dirigeva la scuola di avviamento professionale, dal comune di Pandino e da una realtà locale che era profondamente caratterizzata dalla presenza di allevamenti da latte e da industrie casearie. Maestretta era un visionario, molto deciso però, che prefigurava già un corso quinquennale e di fare di Pandino un centro nazionale di studi caseari di livello universitario. La sua mentalità antiburocratica lo portava a scontrarsi con il Provveditore agli studi, che aveva cercato in ogni modo di ostacolare la nascita della scuola e finì per dare le dimissioni nel 1961. Nonostante l’abbandono del fondatore, la suola ha continuato a godere prestigio e a diplomare tecnici molto richiesti dell’industria. Il convitto è ancora oggi ospitato nel castello in locali del comune. Scuola Casearia Pandino

Deposizione di Callisto Piazza (ca 1560)

Annessa al castello era la chiesa di Santa Marta, che si affaccia sulla piazza Vittorio Emanuele e che conserva interni affrescati, la parrocchiale di Santa Margherita, edificata nel XII secolo, presenta forme neoclassiche. Conserva diverse opere d’arte tra cui una Deposizione di Callisto Piazza di recente oggetto di restauro.

Pandino è famosa per il castello ma anche per i suoi prati stabili, per il fieno (e di conseguenza il latte) che si produce nelle campagne circostanti. A 1,5 km dal castello, si trova unno dei più bei fontanili della zona, il fontanile Del Pir. Il fontanile è costituito da una “testa” e di un’ “asta” lungo la quale defluisce l’acqua che sgorga dalle polle. Nonostante l’apparenza non si tratta di “sorgenti naturali”, ma di opere dell’uomo che pure sfruttano determinate condizioni naturali . La ricchezza di vita acquatica e riparia che le caratterizza testimonia di come l’intervento dell’uomo è spesso suscettibile di favorire ambienti di pregio paesaggistico e naturalistico. I fontanili sono elementi di un’ampia azione di bonifica che trasformò una landa caratterizzata da aree paludose e ghiaiose in una campagna fertilissima, capace di produrre cinque tagli di fieno e di alimentare esigenti vacche da latte. I fontanili nascono per ridurre l’umidità di terreni con falda superficiale allontanandola dopo averla portata in superficie. La testa e l’asta del fontanile sono ricavate da scavi accurati ma anche le bolle sono attivate inserendo a diversi metri di profondità dei tubi di ferro (o cemento) che intercettano la falda artesiana (in pressione). Questo differenzia i fontanili dai fenomeni naturali di “risorgiva” dove l’affioramento è spontaneo per la presenza, nel profilo stratigrafico, di strati impermeabili (lenti di argilla) che costringono il flusso sotterraneo che scorre dall’alta verso la bassa pianura, e che ne viene bloccato, a emergere in superficie. In realtà le due categorie: fontanile e risorgiva si sovrappongono perché il fontanile è realizzato nell’area di risorgiva “potenziando” le polle con la posa dei tubi (in passato si usavano tine di legno) e assicurando una più ampia e costante portata, incanalata opportunamente nell’asta. Fa parte del funzionamento del fontanile la sua manutenzione (pulizia dell’alveo, rimozione della ghiaia dai tubi). Monumenti “naturali” sì, ma opera sapiente dell’uomo e legati alla funzione agricola, in grado di fornire acqua pulitissima per le coltivazioni.

Il Santuario del Tomasone (resti). Una primitiva cappella venne edificata nel luogo dell’apparizione della Vergine al giovane Tommaso Damici (a.d. 1432). In una nicchia all’interno della cappella venne collocata la quattrocentesca statua lignea della Vergine, tuttora conservata presso il nuovo Santuario. La cappella venne inglobata alla fine del Quattrocento in un più ampio edificio a una sola navata con ampio presbiterio che disponeva anche di due altari laterali. Le pareti erano ricoperte da numerosi affreschi di epoche diverse, recanti immagini di Santi. Ad oggi restano di queste opere pittoriche solo dei lacerti visibili sulle porzioni murarie superstiti dell’antico Santuario. Si possono riconoscere, da sinistra verso destra: San Fermo (abbigliato alla maniera militare del XVII secolo), i Santi Gioacchino ed Anna, San Defendente e San Carlo Borromeo in adorazione della Madonna di Loreto, le Sante Margherita e Lucia. nel Settecento il santuario, già in declino su colpito dalle soppressioni di Maria Teresa La statua lignea venne trasferita nella chiesa di Santa Marta. Adibito a edificio rurale dopo la vendita da parte del comune, il santuario andò in rovina… Nel 1997 su consacrato il nuovo santuario e vi fu riportata la venerata statua.

Il canale Vacchelli è una grandiosa opera di irrigazione che ha cambiato le sorti dell’agricoltura cremonese. Fortemente voluto dal senatore Pietro Vacchelli fu realizzato tra il 1887 ed il 1892 dal Consorzio irrigazioni cremonesi. Il canale è lungo 34 chilometri. La sua portata è di 38,5 metri cubi di acqua al secondo e consente l’irrigazione di un’area di ottantamila ettari. L’acqua deriva dall’Adda in località Merlino (provincia di Lodi). In tempi recenti è diventato un interessante percorso ciclopedonale. I numerosi manufatti, come i ponti realizzati in mattone si inseriscono armoniosamente nel paesaggio.

A Pandino è attivo un Ufficio informazioni turistiche Cellulare (anche WhatsApp): 3387291650 Tel. 0373 973350
E-mail: turismo@comune.pandino.cr.it 

Palazzo Pignano

La Pieve di San Martino a Palazzo Pignano, che, nelle forme riemerse dai restauri moderni, e nel suo nucleo centrale risale all’XI secolo. L’edificio presenta all’esterno una facciata a capanna e all’interno una pianta regolare divisa in tre navate da due file di sette pilastri in pietra e laterizio che reggono archi a tutto sesto. Viene considerata Chiesa Madre della Diocesi di Crema, infatti,  ogni nuovo Vescovo, prima d’insediarsi in città,  compie la prima visita a questa antica Chiesa. Il realtà la chiesa di Palazzo Pignano è molto più antica. Con i restauri del 1963-71 e, in particolare, con gli interventi di consolidamento murario che resero necessario scoprire le fondamenta, emersero le murature della chiesa circolare paleo-cristiana del V secolo. Tra l’edificio paleocristiano e quello del XI secolo, durante l’alto medioevo vi fu con tutta probabilità un’altra chiesa i cui materiali vennero inglobati in quella successivamente eretta. Dal punto di vista religioso Palazzo Pignano restò il centro più importante del cremasco anche dopo che Crema iniziò ad affermarsi costruendo anche un duomo coevo alla Pieve di San Martino che fu distrutto dal Barbarossa..

Il prevosto di Palazzo Pignano continuò infatti a rappresentare il vicario del vescovo di Piacenza (il cremasco era diviso tra le diocesi di Cremona, Piacenza e Lodi). Ma con l’occupazione veneziana del 1450 egli si trasferì a Crema (anche se la diocesi venne riconosciuta solo nel 1580). Nel Quattrocento la Pieve fu sottoposta a restauri e nelle epoche successive, specie nel Seicento, fu oggetto di rifacimenti e aggiunte. Sino al restauro di inizio Novecento (1909-11) che riportò la chiesa alla struttura del XI secolo. In origine essa presentava una caratteristica che è però andata perduta: l’abside trilobato (come quello di San Sigismondo a Rivolta). L’importanza della scoperta della “rotonda” del V secolo spinse gli archeologi ad indagare la zona intorno alla chiesa. Nel 1969 finito lo scavo all’interno della chiesa, essi iniziarono un altro scavo e scoprirono un’enorme villa romana. Tra il 1969 ed il 1999, in circa trent’anni di scavi, sono state effettuate numerose scoperte riportando alla luce una buona parte degli edifici antichi, tra i quali il battistero del IV secolo. La presenza di splendidi mosaici e di un sistema , i vetri alle finestre, un giardino ottagonale, un sistema di riscaldamento ad aria calda indicavano che il complesso era frequentato da personaggi altolocati. Secondo la tradizione, non sostenuta da prove, i proprietari sarebbero stati Piniano della gens Valeria e la moglie santa Melania la giovane. Nel 2000 l’area archeologica è stata aperta al pubblico e nel 2001 è stato creato l Antiquarium, il centro espositivo legato agli scavi archeologici.

A Palazzo Pignano vi è anche un complesso architettonico conosciuto sotto il nome di Villa Marazzi è costituito da un’antica torre e due grandi corti: una agricola contornata da edifici rustici, l’altra d’onore con la villa vera e propria. L’edificio più antico è la torre, la cui base è databile agli inizi del 1400. Si trattava quasi sicuramente di una struttura difensiva a guardia dell’effimera signoria cremasca dei Benzoni (conclusasi con il ritorno dei Visconti). La villa risale invece al XVI secolo e venne costruita come dimora di villeggiatura da Sermone Vimercati che, sposandosi con Ippolita Sanseverino, diede origine alla nobile famiglia dei Vimercati Sanseverino (1520 circa). Col passare dei secoli, la villa e la sua torre furono più volte rimaneggiate.

Visite guidate a Palazzo Pignano in collaborazione e a cura del Comune di Palazzo Pignano (resp. biblioteca Maria Astrid Bombelli) Antiquarium e della Parrocchia di San Martino Vescovo (Parroco don Benedetto Tommaseo)

Dovera

Nel centro del paese di Dovera sorge il complesso del Santuario costituito da due edifici sacri: il Santuario della Beata Vergine del Pilastrello e in posizione più arretrata il Santuarietto. Il Santuario ricorda l’apparizione del 14 maggio 1384 della Madonna a Caterina, una ragazza sordomuta e con la mano destra paralizzata che, in seguito a questo avvenimento, riacquistò la parola, l’udito e l’uso della mano. L’edificio, costruito in laterizio negli anni Ottanta del Trecento, mostra al centro un piccolo portale con una lunetta a ogiva che racchiude un Cristo in pietà, mentre al di sopra compare l’Annunciazione e una lunetta con Dio Padre. Le opere sono attribuite a un pittore lodigiano indicato come Maestro di Ada Negri, autore degli affreschi della chiesa di San Francesco a Lodi che la poetessa definì “un bosco dipinto”. Il pittore operò anche a Piacenza e in altri centri del lodigiano. Ai fianchi della porta campeggiano due gigantesche figure di santi: a sinistra san Cristoforo e a destra Sant’Antonio abate. L’interno si presenta ad un’unica navata con una decorazione ad affresco che si snoda lungo la controfacciata, le pareti e la zona absidale. Accanto alla chiesa antica sorge il Santuarietto eretto nel 1639.

A Roncadello, oggi frazione di Dovera, ormai connessa al capoluogo dall’espansione edilizia, esiste un complesso di grande fascino costituito dalla villa Barni, dal giardino romantico (con torre, laghetto, tempio, grotta affrescata ecc.) e dall’insieme dei rustici e delle corti agricole che, insieme alle terre agricole, costituiva il feudo di Roncadello, assegnato con il titolo di conti alla famiglia Barni di Lodi. Il primo conte di Roncadello fu Giovanni, morto nel 1690. I lavori della villa, promossi dal fratello del primo conte, Giorgio, vescovo di Piacenza, iniziarono nel 1700 e terminarono nel 1715. G Gli architetti Sartorio di Lodi la realizzarono in stile rococò. La villa presenta una facciata sul giardino con un corpo centrale più elevato su tre livelli. La pianta è a U. Bassi fabbricati di servizio e un corpo di fabbrica su due livelli con un porticato rustico chiudono la corte. Giorgio Barni chiamò a lavorare per la decorazione della villa artisti di fama (i saloni saloni sono affrescati con stile che richiama il Tiepolo).

La villa rappresentava la degna “dimora di delizie” dei Barni, patrizi di primo piano a Lodi. Facilmente raggiungibile da Lodi dove avevano un palazzo rappresentava anche una proprietà agricola importante (nel feudo, a fine settecento, abitavano quasi 400 persone, quasi tutte nelle cascine). Agli inizi dell’Ottocento (nel 1805) venne sostituito il giardino all’italiana con quello all’inglese, secondo la moda del tempo ma vennero anche realizzati importanti investimenti nella gestione agricola. Il conte Giovanni volle introdurre nuove razze bovine da latte e intraprese opere di bonifica per eliminare i terreni molto umidi e potenziare la produzione foraggera. Grazie a questi miglioramenti poté essere avviata la produzione del formaggio “ad uso lodigiano”. Non esistevano le dop e fu possibile realizzare in Gera d’Adda, per la prima volta, questa produzione “tipica”. Fu il naturalista lodigiano Agostino Bassi a celebrare la “fabbricazione del formaggio all’uso lodigiano” con un opuscolo, pubblicato nel 1820, con questo titolo. La villa e le proprietà agricole (sette aziende) appartengono oggi alla Fondazione Barni Corrado di Roncadello, nata come “Pia Casa Barni Corrado di Roncadello” in base al testamento (1955) dell’ultimo conte, il generale Antonio Barni Corrado di Roncadello.  Al di là del valore architettonico del complesso, l’importanza storico-culturale del bene è rappresentata anche dal ricco archivio e dalla conservazione di buona parte degli arredi originali.

San Rocco è una frazione di Dovera che ha conservato intatto il suo connotato rurale L’elegante campanile del Santuario di San Rocco, del XVI secolo, svetta ben visibile nella campagna circostante. La località, prima dell’erezione del santuario, nel 1524, si chiamava San Cassiano e vi sorgeva un oratorio dedicato al santo che sopravvisse sino al XVIII secolo. Il santuario venne eretto lo stesso anno delle apparizioni del santo al mugnaio Ambrogio De Bretis che donò egli stesso i terreni per l’edificazione. Nel clima di devozione, suscitato dalla reazione alla diffusione dell’eresia luterana , venne istituita anche una Confraternita dei Disciplini, che ottenne speciali privilegi dal papa Clemente VII. Alla buona disponibilità economica della confraternita, si devono le preziose opere che tutt’ora si ammirano nella chiesa (normalmente chiusa tranne che per le messe). L’edificio, con facciata a capanna e anticipato da un pronao, presenta, all’interno, un’aula unica, con volta a botte e abside poligonale. L’aspetto di maggior interesse è però rappresentato dalle decorazioni Nel 1545 a Callisto Piazza, pittore lodigiano già affermato, ma ancora nella sua fase giovanile, e alla sua bottega venne affidata la decorazione della chiesa. A Callisto si deve un ciclo di affreschi che corrisponde alle tre apparizioni di san Rocco al de Bretis e la pala, sempre dedicata a San Rocco dell’altare centrale. Agli allievi altre pale e svariate decorazioni. Il Piazza, che nel 1523 si era recato a Brescia alla scuola del Romanino operò sino al 1529 in val Camonica realizzando lavori che recano evidente l’influenza, insieme ad altri grandi pittori dell’epoca, del maestro, ovvero una pittura forte, espressiva e realistica, “popolare”, non per questo meno pregevole. Probabilmente la committenza di San Rocco si avvicinava di più, per sensibilità, a quella della montagna che a quella di Lodi (dove il Piazza, insieme ai fratelli, continuava a lavorare all’Incoronata).

In mulino che sorge nei pressi del santuario risale probabilmente al XV secolo. Oggi è gestito dall’azienda agricola Mulino San Rocco; il mugnaio, nonché proprietario, è Antonio Sari. Funziona per circa due ore al giorno, ossia quanto basta per produrre i quantitativi di farina integrale di granoturco occorrente all’alimentazione giornaliera dei suini allevati all’interno del complesso rurale. Fino al 1956 il mulino era adibito anche alla pilatura del riso, poi continuò a macinare il frumento.

Nei pressi di San Rocco scorre il fiume Torno. Il fiume, lungo 34 km nasce in territorio di Arzago, comune bergamasco della Gera d’Adda e sfocia nell’Adda all’altezza di Abbadia Cerreto trae origine dai fontanili che lo alimentano durante il suo corso. Era già citato in periodo medievale  come flumen Turmum. Grazie alla sua origine sorgiva l’acqua del fiume Tormo è sempre limpida e cristallina, fresca d’estate e temperata d’inverno. Queste caratteristiche fanno si che la vita acquatica prosperi nelle acque del fiume.

Mappa dei fontanili e prati stabili di Dovera. In rosso il percorso della Transumanza. Il fontanile Alipranda si trova in prossimità della strada provinciale che da Roncadello conduce a Boffalora.

Il fontanile Alipranda è uno dei tanti a Dovera. Se oggi ve ne sono ancora molti attivi, il merito è dell’Associazione Amici dei fontanili, che si prefigge di operare la loro manutenzione. Il fontanile non è una “sorgente naturale” ma opera attenta dell’uomo. nella foto i lavori (2007) di ripristino del fontanile Alpiranda con la posa di nuove tubazioni in cemento per la risalita dell’acqua alla superficie.

Nella frazione di Barbuzzera, nucleo che ha conservato le caratteristiche rurali, distante circa 3 km dal capoluogo, si conserva un piccolo gioiello d’arte: l’oratorio di S. Ilarione.  Edificato nel XIII secolo, come si può notare dalla struttura, presenta una facciata a capanna, mentre sui fianchi corrono degli speroni, caratteristici dell’architettura gotica. La facciata è stata rimaneggiata nel secolo scorso. 
L’interno è a navata unica, decorato da affreschi risalenti ad epoche diverse. I più antichi risalgono al XIII secolo. Nel presbiterio si può ammirare un capolavoro dell’arte cinquecentesca: la Crocifissione di Gesù, mirabile opera attribuita ad Ambrogio da Fossano, detto il Bergognone.  Lungo le pareti della chiesa si possono altresì ammirare figure di Santi, tra cui spiccano San Rocco e S. Sebastiano, S.Antonio Abate e S. Siro.

Lodi vecchio

la Basilica dei XII apostoli di Lodi vecchio è nota anche come Basilica di San Bassiano, primo vescovo di Lodi, che la consacrò nel 378 e dove fu sepolto. Nulla sappiamo della basilica paleocristiana e non certo che quella attuale risalente all’XI-XII secolo sorga sullo stesso sito. La basilica romanica, preesistente all’attuale, fu eretta con tutta probabilità prima della distruzione della città. Essa sorgeva fuori dalle mura, nei pressi del bivio tra la strada che portava a Piacenza e quella che portava a Cremona. Assunse l’aspetto gotico nel XIV secolo (1320-1323) e conserva non solo la struttura (a tre navate e tre absidi) della preesistente chiesa romanica ma anche diversi elementi come i massicci pilastri e i capitelli. La trasformazione gotica riguardò la facciata, dalla raffinata decorazione, e l’elevazione delle navate. Nella facciata è collocata un’edicola con l’effigie di San Bassiano, ma è una copia dell’originale che fu trasportato nel duomo della nuova Lodi. Gli affreschi dell’interno della basilica, realizzati nei decenni successivi alla ricostruzione in forme gotiche, sono da riferire ad un unico maestro (detto appunto “di S. Bassiano”), e alla sua bottega. La grande opera pittorica che interessava le tre absidi è ora è leggibile chiaramente solo in quella centrale. Diversi riquadri affrescati interessano il presbiterio e proseguono lungo le pareti della navata centrale. L’opera del Maestro di S. Bassiano si completa con la decorazione delle volte, eseguita negli anni immediatamente successivi alla loro costruzione (1323). Il soggetto, della volta “dei bovari”, sottolinea l’importante ruolo assunto dalle corporazioni negli interventi architettonici e pittorici effettuati sull’edificio. Questo ruolo è testimoniato anche da due formelle poste l’una sul pilastro della terza volta e l’altra presso la porta d’ingresso, raffiguranti un uomo al tavolo da ciabattino. A differenza di molti altri monumenti coevi, la basilica di San Bassiano ha mantenuto inalterate le forme assunte nel medioevo non subendo interventi edilizi significativi se si eccettuano campagne di restauro tra Otto (1829-30) e Novecento (1902-1908;1923-24;1963-68).

San Bassiano non fu mai chiesa cattedrale tranne, forse, nell’intervallo tra la prima distruzione della città e la traslazione delle spoglie del santo a Lodi nuova (da 1111 al 1163). La cattedrale era Santa Maria (sotto, nella foto, le fondamenta e una ricostruzione tridimensionale). Essa, probabilmente, era stata edificata inglobando un grande edificio romano e sorgeva al centro della città, dove vi era il foro. Santa Maria perse la funzione di cattedrale a seguito della distruzione della città (forse già dalla prima distruzione dalla quale risultò danneggiata) e quindi del trasferimento a Lodi nuova della cattedra vescovile. La decisione di spostare la città fu presa dallo stesso imperatore Federico I Barbarossa, alleato dei lodigiani che preferì ricostruirla in un sito più difendibile. Per la vecchia cattedrale iniziò una triste storia di declino legata anche al fatto che il protrarsi delle lotte con i milanesi per il secolo successivo frustrando i tentativi di ripresa per via delle successive distruzioni provocate dagli eventi bellici.

Il sito di Lodi vecchia conservava infatti valore strategico perché posta in corrispondenza di un nodo stradale dal quale si dipartivano le strade per Milano, Monza, Piacenza e Cremona. Al posto della città sorsero piccoli villaggi agricoli che si aggregarono intorno alle chiese della vecchia città. La chiesa di Santa Maria, che aveva subito ridimensionamenti e che versava in cattive condizioni di conservazione e fu sconsacrata nel 1811. Nel 1879 quello che rimaneva venne distrutto con la dinamite. Nel 1757 i diversi villaggi furono aggregati in due comuni Lodi vecchio (intorno alla chiesa di San Pietro (attuale parrocchiale) e Santa Maria. Quest’ultimo comune venne definitivamente aggregato a Lodi vecchio nel 1837.

Il Museo Laus Pompeia ha sede nel primo piano del settecentesco edificio utilizzato per lungo tempo come stalla e fienile del complesso rurale di Corte Bassa (ancora oggi lo testimonia l’apertura pavimentale che metteva in collegamento i due piani, da cui si gettava il fieno al bestiame). Tale edificio è stato sottoposto negli anni 2010-2014 a interventi di restauro che lo hanno ripristinato nel rispetto del suo impiego originario e adeguato alla sua nuova destinazione museale. Contiene reperti archeologici delle fasi pre-romana, romana e altomedievale della storia di Laus e del suo territorio. Trentotto di questi, tra cui il “Tesoretto di San Michele”, sono stati concessi in comodato d’uso dal Museo Civico di Lodi. Gli altri pezzi della collezione ludevegina giungono da Milano, grazie all’interessamento diretto della Soprintendenza, per essere esposti in questo luogo, la cui importanza travalica i confini cittadini per abbracciare l’intero territorio del Lodigiano, di cui Laus Pompeia è la storica culla.
All’interno del Museo è possibile ammirare una significativa collezione lapidea, una sezione dedicata alle ceramiche rinvenute sul territorio (olle, anfore, lucerne), corredi funerari di diverse epoche e consistenze tra cui un corredo di un guerriero del III secolo. Particolare attenzione merita il Tesoretto di San Michele: la scoperta avvenne in modo casuale, nel 1892, nel campo San Michele del podere Lavagna, alla periferia nord orientale dell’abitato. Sotterrati in un vaso di terracotta, chiuso da una ciotolina in argento, furono recuperati diversi gioielli e un gruzzolo consistente di monete. Il tesoretto subì una rapida dispersione, al museo è possibile ammirare un corredo di gioielli e numerose monete.

Il Museo si trova in uno dei luoghi più importanti per la storia di Lodi Vecchio, Piazza Santa Maria, ovvero l’area del foro di Laus Pompeia, la piazza principale della città romana. Oggi, in quest’area è possibile non solo visitare il Museo e la Biblioteca ma anche l’annessa area archeologica dove sono visibili i resti di Santa Maria, l’antica Cattedrale di Lodi Vecchio sorta sul finire del IV secolo e demolita alla fine del XIX. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce imponenti fondazioni di piloni e murature. Alcune di queste strutture sono riferibili a un grande edificio pubblico di epoca romana prospettante sul foro, altre appartengono invece alla basilica medievale. Santa Maria era costituita da una grande aula divisa in tre navate da pilastri e conclusa sul fondo da un’abside semicircolare. Nell’area archeologica si identificano inoltre un ingresso laterale alla chiesa e un’abside minore verso nord, mentre verso sud è ancora visibile parte di un pilastro della Cattedrale inglobato nell’edificio rurale posto di fianco alle strutture rinvenute. Il complesso subì nel corso del tempo profonde modifiche e rimase in uso fino al XIX secolo, quando, divenuto proprietà privata, fu prima parzialmente demolito e poi violentemente distrutto nel 1879.

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