
Domenica 31 ottobre, nell’ambito del Festival del pastoralismo 2012, presso la sede del Parco dei Colli a Bergamo Valmarina, si è tenuta la commovente cerimonia di commemorazione di Tino Ziliani. E’ stato ricordato da Michele Corti, presidente del Festival e e da Anna Carissoni. Anna al termine del suo intervento (che potete leggere QUI) ha letto un documento scritto da Tino per la l’inserimento della Lombardia nel riconoscimento Unesco della Transumanza. Un vero testamento che esprime, in sintesi, quella considerazione che Tino aveva per l’attività dei pastori e che, con passione e dedizione, cercava di trasmettere a tutti: dalle autorità ai bimbi che avvicinava con le attività didattiche.
Se diamo retta a Wikipedia, “la transumanza è un’usanza quasi del tutto scomparsa in base alla quale – durante la stagione invernale e, al contrario, nel pieno della stagione estiva – venivano spostate le greggi di ovini dalle zone collinari e montane verso i litorali pianeggianti, e viceversa”. Come dire, insomma, che si tratta di archeologia, di un’attività ormai superata, inutile, fuori mercato…
E invece non è affatto così perché, come scrive Paolo Rumiz, “questa pratica millenaria consente un’economia verticale, ed è quindi l’antagonista naturale dell’economia intensiva che è per sua natura orizzontale e spalmata su spazi enormi (allevamento, macellazione e consumo distanti migliaia di chilometri). La transumanza condensa climi, stagioni, differenze ambientali e vegetali su spazi minimi, sostituendo il dislivello alla distanza. E’ il trionfo della biodiversità come perno della qualità ambientale”. La transumanza è anche il cuore dell’identità italiana e nord-mediterranea, in contrapposizione alle società nomadi dell’Asia e del Nord-Africa che desertificano il territorio anziché garantirne la corretta manutenzione e la sopravvivenza.
Documentata nelle valli delle Alpi e delle Prealpi italiane – tra le quali anche la Valcamonica – da ben prima dell’avvento dell’Impero romano, la transumanza e la pastorizia, che ne è l’imprescindibile premessa, sono dunque certamente attività millenarie di grande valore storico e culturale, ma oggi appaiono anche come uno dei pochi futuri possibili per il nostro Paese in balìa del dissesto idrogeologico e dell’invasione di alimenti stranieri di pessima qualità.
In questo senso i pastori transumanti possono essere considerati a pieno titolo dei “resistenti”: al difficile riconoscimento sociale del loro ruolo; alla frammentazione del territorio; al ritorno dei grandi predatori; ai tempi biblici di erogazione dei contributi e dei risarcimenti; allo stillicidio dei cavilli burocratici e fiscali; all’abbandono delle aree montane e collinari marginali che il passaggio delle greggi preserva dall’abbandono e dal degrado.
Di tutti i benefici sociali ed ecologici che questa attività, anello fondamentale per l’equilibrio dell’ecosistema, produce sul territorio – pulizia della biomassa vegetale in eccesso; mantenimento di spazi pascolivi necessari per la sopravvivenza di molte specie selvatiche, in particolare uccelli; distruzione delle specie vegetali non autoctone; prevenzione degli incendi, ecc…) – i pastori transumanti sono consapevoli: per questo, anche in una prospettiva più spiccatamente antropologica, la transumanza merita di essere riconosciuta come manifestazione tangibile di diversità culturale e come patrimonio indivisibile delle nostre montagne.
Michele Corti ha richiamato alcuni aspetti della vita e dell’attività di Tino (che sono riportati QUI) sottolineando come era sempre mosso dall’esigenza di aiutare i pastori, di far conoscere e apprezzare la realtà del pastoralismo. Come non mettesse mai sé stesso davanti alla causa che lo vedeva impegnato. Lascia un vuoto difficile da colmare. Quello che ha fatto, quello che ha rappresentato è bene siano conosciuto. Di qui l’impegno da parte di Corti di pubblicare un libro sulla sua vita, raccogliendo le testimonianze dei tanti che lo hanno conosciuto e apprezzato.
