CAMPANACCI E TRANSUMANZA

«Erano necessari i campanacci! Se te tacavet mìa la ciòca, il campanaccio grosso, non andavano via le mucche, si disperdevano in tutti i cantoni. Mettevi il campanaccio e venivano dietro come niente».

È la testimonianza di Angelo Tagliaferri di Vilminore di Scalve, detto Agilì, mandriano per tutta la vita, abile casaro e cofondatore della Latteria Sociale Montana di Scalve, un’esperienza di cooperazione che ha salvato l’allevamento in alpeggio dalla concorrenza delle multinazionali e che ha avuto nel 2007 il riconoscimento della Medaglia d’Argento delle Olimpiadi Internazionali del Formaggio di Montagna a Obersdorf.

I campani da pascolo sono più ridotti, in proporzione del peso di una borsetta da tracolla, indispensabili al pastore come alla mandria per mantenersi uniti di notte e nella nebbia. Ciascun allevatore va fiero del proprio concerto di campanacci, scelto con cura e passato ai discendenti, un’armonia che accompagna le lunghe ore di solitudine e diviene memoria degli animali e degli alpeggi che si sono susseguiti.

I campanacci rappresentano un valore affettivo universale. Dicono i pastori di yak dell’Himalaya: «Uomini e yak nascono e muoiono, solo il suono delle loro campane rimane oltre le generazioni e oltre il tempo»

 

Non è per ambizione del pastore che il campanaccio da transumanza, il più grosso di tutti e spesso con splendidi collari, sia al collo della Regiura, la vacca che la mandria considera al vertice della propria gerarchia sociale. La Regiura pretende di averlo e ne è orgogliosa, cammina avanti a tutte e non ammette di venire scavalcata. Scambiare il campanaccio può scatenare conflitti e gelosie. Quando la mandria sente i campanacci da transumanza sa che viene
l’ora della partenza e diventa incontenibile.
Spesso la mucca esperta si fa avanti solo quando sente il suono del suo campano così da farselo attaccare al collo. Sono strumenti molto preziosi, portati solo per l’occasione. Se invece nella stagione c’è stato qualche lutto i campanacci in ferro vengono sostituiti con le bronze in segno di rispetto.

Giovanni Mocchi