Il fenomeno dei bergamini nasce nel basso Lodigiano tra XIV e XV secolo
Dell’origine dei bergamini e del contributo fornito dai bergamini alla nascita della classe dei fittavoli della “bassa Insubria” (come diceva Carlo Cattaneo) hanno scritto diversi autori lodigiani del passato. Un fatto di per sé significativo perché in altre aree, dove pure i bergamini erano presenti, non si è registrato un pari interesse. Ad indagare in modo sistematico sulla presenza dei bergamini nel lodigiano nel XV-XVI secolo attraverso gli atti notarili è stato però Natale Arioli, agricoltore-allevatore di Camairago (Codogno), già insegnante all’Itas di quel comune, egli stesso discendente di una dinastia importanti di bergamini dell’alta valle brembana (Piazzatorre). Arioli, dopo studi decennali negli archivi, ha redatto un volume Bergaminus vagabundus. Dalle valli bergamasche ai prati della Bassa (500 anni di transumanza attraverso i documenti d’epoca)(in corso di stampa per le nostre Edizioni festivalpastoralismo). Arioli, oltre ad alcuni saggi sul tema dei bergamini, ha scritto anche un libro sulla genealogia della propria famiglia e un importante lavoro su Carlo Cattaneo Le radici di Carlo Cattaneo. storia di una famiglia da Valleve alla bassa Bergamasca, Ed. Corponove, Bergamo, 2012 che dimostra le origini bergamine, a Valleve, sempre in alta val Brembana, del noto personaggio storico.
I documenti notarili analizzati da Arioli (testamenti, contratti) mostrano, già nella prima metà del Quattrocento, i bergamini delle valli bergamasche ben presenti nelle reti di relazioni agricole e commerciali della bassa lodigiana. Questa diffusa presenza ci induce a ritenere che già negli ultimi decenni del secolo precedente i bergamini fossero presenti con le loro mandrie di vacche da latte. Non solo, ma in più occasioni, l’attività di bergamino (“ospite” con la sua mandria) si intreccia con quella di affittuari. L’acquisto di grandi quantitativi di fieno è ancora, in quest’epoca, affiancato dall’utilizzo di estesi pascoli nelle zone in via di trasformazione da incolti a prati irrigui. Di queste trasformazioni i bergamini/fittavoli sono essi stessi protagonisti, impegnandosi con la grande proprietà a realizzare migliorie e bonifiche (così nel rapporto con l’abbazia di santo Stefano, presso il Po). Il dinamismo economico e sociale dei bergamini viene confermato anche dal loro coinvolgimento in attività commerciali, non solo relative ai prodotti dell’allevamento ma anche alle pezze di tessuto di lana (articolo prodotto dalle manifatture della val Seriana). Così nel caso di un bergamino di Lodrino (Ardesio) dell’alta val Seriana. La transumanza, esercitata da elementi intraprendenti e dotati di liquidità, di rappresentava anche un canale commerciale tra le valli e la pianura, non solo bestiame, pelli, formaggi, ma anche tessuti e articoli della siderurgia valligiana. Un quadro che conferma la tesi di Cattaneo (“la classe dei fittabili della bassa Insubria trae origine dalle famiglie di bergamini”).
Le fonti di Cattaneo: il secondo cugino Luigi e Ugo Innocente Brunetti
Facciamo ora un passo indietro. Carlo Cattaneo, oltre che da fonti personali (attingendo molto dal secondo cugino Luigi, autore di una monografia sui bergamini preparata per le Notizie naturali e civili sulla Lombardia ma rimasta inedita sino a pochi anni fa), trasse le sue considerazioni sul tema dalle Note statistiche sul Lodigiano di Innocente Ugo Brunetti, pubblicate postume dal Cattaneo sulla rivista Il Politecnico da lui diretta.
Può sembrare sorprendente, ma non è certo un caso se Cattaneo, Brunetti e Giovanni Agnelli (storico lodigiano di fine Ottocento che trattò dell’origine medievale dei malghesi) fossero tutti di discendenza bergamina, il primo dall’alta val Brembana con insediamento nel milanese-pavese, il secondi dell’alta val Seriana, con insediamento nel Lodigiano.
Innocente Ugo Brunetti (Lodi 1774 – 1837)
Figlio di un agricoltore proprietario, di famiglia di origini bergamine, era nato il 29.12.1774 alla cascina Torretta, nella parrocchia di San Gualtiero ( Chiosi di Losi) da Giovanni Domenico, agricoltore e Maria Elisabetta Petenghi (Natale Arioli, comunicazioni personali). Il Brunetti studiò matematica all’università di Pavia dove divenne giacobino. Fu quindi tra i primi ad arruolarsi nelle milizie filo-francesi, divenendo nel 1797 capitano della Legione bresciana. Ne seguì una brillante carriera militare tanto da partecipare, in rappresentanza dell’esercito, ai comizi di Lione dove, tra 1801 e il 1802, dove i notabili cisalpini fondarono la Repubblica. Nell’esercito del Regno d’Italia raggiunse il grado di colonnello e fu ispettore capo alle rassegne. Fu anche commissario del dipartimento del Mincio. Nel 1814 il feldmaresciallo Bellegarde, plenipotenziario imperiale, si avvalse della sua competenza per procedere allo scioglimento dell’esercito italico e Brunetti passò a servire per un breve tempo in quello austriaco. La partecipazione a una cospirazione militare anti-austriaca gli procurò però una condanna, sia pure lieve (due anni e una multa da 2 mila lire), successivamente ridotta da una grazia. La moderazione austriaca, a fronte di un’accusa di cospirazione, che poteva comportare la pena capitale, non gli risparmiò comunque il carcere militare a Mantova e la perdita del grado e della pensione. Ritiratosi, nel 1817, nel natio lodigiano, soffrì di gravi ristrettezze economiche, alleviate solo nel 1831 dalla concessione di un sussidio dell’imperial regio governo. A Lodi si dedicò a studi militari e agrari, coltivando anche quelli foscoliani (fu compagno d’arme e amico del poeta). La sua opera più significativa è rappresentata dalle Notizie statistiche sulla provincia di Lodi 1835-1836 che il Cattaneo pubblicò postuma in compendio sulla rivista Il Politecnico nel 1839 con il titolo Notizia economica sulla provincia di Lodi e di Crema.
Le brevi note del Brunetti sono molto importanti perché vi sono esposte due tesi di grande rilevanza storica: la prima riguarda il ruolo dei bergamini nel dare inizio e conferire un impronta indelebile alle attività casearie in Lombardia ed è stata ripresa solo in tempi recenti, la seconda, relativa all’origine della classe dei fittabili dalle file dei bergamini, venne ripresa da Carlo Cattaneo nel 1857, quindi da altri autori successivi, finché ha trovato conferma da recenti indagini storiche. Brunetti, nell’ambito delle sue Notizie, riporta alcuni riferimenti importanti ai bergamini nel capitolo della fabbricazione dei formaggi e dedica al essi un paragrafo (Delle bergamine e de’ bergamini). Entrambi sono qui riprodotti integralmente. L’autore lodigiano riconosce l’apporto essenziale dei bergamini alla nascita del caseificio tanto – secondo lui – fino a quando essi non presero a stabilirsi anche in estate nella pianura: “per quasi due secoli non si fabbricò formaggio che durante la stagione jemale”. Gradualmente “la fabbricazione del formaggio fu da essi protratta a tutto l’estate; e sul loro esempio venne pure dai coltivatori nostrani”.
Le tesi di Brunetti vanno in parte riconsiderate; da studi recenti sappiamo infatti che il processo di fissazione in pianura dei bergamini iniziò quasi subito dopo la loro “calata” (e non certo “dopo due secoli”) e si può ritenere che gli ex bergamini (o almeno una parte di essi) non abbiano certo smesso l’attività casearia. Sappiamo però anche che la produzione di formaggio (in prevalenza di latte ovino) era già attiva nel lodigiano nel XII secolo per opera dei precursori dei bergamini: i malgarii, citati in documenti utilizzati dallo storico lodigiano Giovanni Agnelli (vedi oltre) che, nel 1886, pubblicò sull’ Archivio storico lodigiano una memoria sul tema. È però verosimile che la produzione casearia restasse per lungo tempo appannaggio prevalente dei bergamini, come dimostra chiaramente il caso del bresciano, dove il loro quasi monopolio – in relazione alla più tardiva evoluzione dell’agricoltura oltre il Serio e l’Oglio – vigeva ancora in pieno XIX secolo.
Le osservazioni del Brunetti contenute nella Notizia (“quasi tutti i fittajuoli più facoltosi del Lodigiano, del Pavese e del Basso Milanese sono di origine bergamasca”) furono riprese da Carlo Cattaneo per formulare la tesi dell’origine “anche” bergamina della classe dei fittabili della “bassa Insubria”. Cattaneo, riprese anche l’accostamento contenuto nel brano del Brunetti alle “tribù nomadi dell’Asia” (a qui tempi “copiare” era consentito).
In linea con tutta la stesura de le Notizie, il nostro, anche nel trattare i bergamini, mantiene un tono distaccato. Riconosce loro anche la prerogativa di produrre un grana “affatto simile a quello che si fabbrica dai fittajuoli lodigiani” (circostanza difficilmente ammessa da altri autori). Solo in un ultima nota (in cauda venenum), egli tradisce – qualificandoli “semi barbari” – il suo pregiudizio negativo nei confronti dei bergamini (e quindi “sputando nel piatto” delle sue stesse origini, di cui, evidentemente, si vergognava). Un pregiudizio da ricondurre alla posizione sociale dell’autore che, da proprietario terriero in difficoltà (per vicende famigliari e politiche), era comprensibilmente diffidente e invidioso rispetto a figure capaci di accumulare somme non trascurabili e di ascesa sociale. Probabilmente, però, il suo atteggiamento sprezzante era influenzato anche da motivi ideologici (era stato un “antico giacobino”) che mal sopportava il conservatorismo, sia pure associato a dinamismo economico, e l’attaccamento alla religione cattolica dei bergamini.
“La fabbricazione del formaggio […] fu dapprincipio esercitata dai soli bergamini”
Da: in: I.U.Brunetti, “Notizia economica sulla provincia di Lodi” e Crema in G. Bigatti (a cura di) Terra d’acque: il Lodigiano nelle “Notizie” di Innocente Ugo Brunetti e Carlo Cattaneo, Skira, Milano, 2001, pp. 88.
La fabbricazione del formaggio cominciò introdursi fra noi nel secolo XIII secolo, allorché per mezzo del canale Mozza viene maggiormente estesa la coltivazione dei prati irrigui. Essa fu dapprincipio esercitata dai soli bergamini, i quali discendevano ogni anno dalle montagne del bergamasco con numerose mandrie, venivano a svernare nel lodigiano, ove trovavano abbondanti e saporiti foraggi, di maniera che per quasi due secoli non si fabbricò formaggio che durante la stagione jemale. Ma dilatandosi sempre più le praterie e molti bergamini avendo qui stabilito il loro permanente domicilio, la fabbricazione del formaggio fu da essi protratta a tutto l’estate; e sul loro esempio venne pure dai coltivatori nostrani e con tanto fervore che verso la fine del XV secolo, l’agro lodigiano contava di già di circa 150 cascine, ed il suo formaggio sotto il nome di parmigiano figurava già come una delle più importanti derrate che la Lombardia inviava in quei tempi ad Anversa.
Delle bergamine e de’ bergamini
Da: in: I.U.Brunetti, “Notizia economica sulla provincia di Lodi” e Crema in G. Bigatti (a cura di) Terra d’acque: il Lodigiano nelle “Notizie” di Innocente Ugo Brunetti e Carlo Cattaneo, Skira, Milano, 2001, pp. 100-101.
Volgarmente da noi si chiama col nome di bergamina una mandra qualunque di vacche, tutte appartenenti ad uno stesso proprietario. L’etimologia di questo vocabolo deriva da Bergamo; perché appunto montagne del Bergamasco, fin dai tempi più remoti, discendevano come discendono tuttavia numerose mandre a svernare nel piano lombardo, condotte dai così detti bergamini, molti dei quali vi hanno poi di mano in mano stabilito il permanente domicilio e venne a formarsi quella numerosa classe di capitalisti campagnoli che costituisce la parte più industriosa e più utile dei nostri fittabili, quella cioè che dedicandosi di preferenza al governo delle mandre, ed alla fabbricazione del formaggio, dovette, pel suo proprio interesse, preferire la coltura de’ prati, potentissimo e fors’unico mezzo atto a promuovere la fertilizzazione di qualunque terreno.
Difatti quasi tutti i fittajuoli più facoltosi del Lodigiano, del Pavese e del Basso Milanese sono di origine bergamasca. Quantunque il numero di coteste bergamine sia oggidì alquanto scemato, pure contansi ancora da circa 900 vacche migratorie, le quali calando nell’autunno di ciascun anno dalle Alpi delle valli Seriana e Brembana vengono a consumare i foraggi di que’ proprietari e fittabili che non hanno mandre proprie per quindi ritornare al monte nella successiva primavera.
La vita che menano codesti alpigiani assai disagiata s’avvicina di molto a quella delle tribù nomade dell’Asia e dell’Africa, poiché al par di questi non hanno domicilio stabile, ma si trasferiscono colle loro famiglie e con tutti gli attrezzi e masserizie occorrenti ai loro bisogni, in quelle regioni in cui sanno di trovar foraggio per alimentare i loro armenti. I più facoltosi possedono estesi pascoli sulle Alpi e qualche podere nelle rispettive valli, ma gli altri vanno errando alla ventura di monte in monte e si ricoverano alla meglio, e come possono entro misere capanne; assai numerosa è quasi sempre la famiglia, perché mai si dividono i fratelli, e rade volte i cugini; il governo domestico è d’ordinario conferito al più vecchio ed al più accorto col nome di regiò (regitore) ed a questi ubbidiscono tutti ciecamente e tutti adopransi uomini e donne intorno alla mandra ed alla fabbricazione del cacio. Le donne poi sono espertissime nella filatura del lino e della lana, ed anche a tessere tele e panni grossolani, coi quali vestono la famiglia. In generale hanno costumi semplici, vivono con grande parsimonia, vestono rozzamente e non si cibano che di polenta e latticini, ond’è che quando la loro mandra non venga colpita da disgrazia ed il regitore sia uomo prudente, non tardano ad avvantaggiarsi; ed è in allora appunto che pigliano in affitto qualche possessione fermandoci stabile dimora entrano nella classe dei fittabili.
Tre specie diverse di cacio fabbricano annualmente i bergamini col latte delle loro mandre.
- Durante l’estate e mentre esse pascolano sul monte, fanno il così detto formaggio majocco, ossia cacio molle (19).
- Nell’autunno e nella primavera e specialmente quando sono in viaggio fanno il così detto stracchino, ossai cacio bianco.
- Nell’inverno e mentre le mandre sono nudrite a fieno fanno il formaggio di grana, affatto simile a quello che si fabbrica dai fittajuoli lodigiani.
Giovanni Agnelli (San Martino in Strada 1848 – Lodi 1926)
Era figlio di artigiani ma la famiglia era di origine bergamina; il nonno era proveniente da Valgoglio in alta val Seriana. Compì a Lodi gli studi per divenire maestro e qui resse la scuola per i sordo-muti. Figura eminente fra gli storici lodigiani, l’Agnelli ha raccolto una quantità immensa di dati, notizie sul territorio lodigiano e la sua storia. È stato direttore dalla biblioteca laudense dal 1894 alla morte. I frutti delle sue ricerche vennero raccolti nel volume Lodi e il suo Territorio nella storia, nella geografia e nell’arte, del 1917, opera imponente con informazioni d’ogni paese e città di cui l’Agnelli indica coordinate geografiche, frazioni e cascine, istituzioni, chiese, monumenti, fatti storici, e “persone distinte”. Pubblicò molti contributi di carattere storico, sull’Archivio Storico Lodigiano (di cui fu anche direttore) e su quello Lombardo. L’Agnelli fu, inoltre, un appassionato studioso di Dante.
Giovanni Agnelli fu il primo a gettare luce sull’origine dei bergamini, individuando i loro precursori nei “malghesi” (proprietari di greggi di pecore da latte) che, in epoca feudale, svernavano con i loro greggi nell’episcopato di Lodi versando le tasse di herbaticum (pascolo) e di malga (diritto di passaggio). I documenti citati dall’Agnelli, risalenti al XII-XV secolo, mostrano come alla presenza di malghe di sole pecore da latte vada subentrando verso la fine del periodo anche quella di vacche da latte. I numeri citati nel testo indicano come i “malghesi” conducessero greggi che superavano anche il migliaio di capi. Ne derivavano volumi importanti (svariati quintali) di latte che davano luogo alla produzione di grosse forme di cacio (viene citata formagiam unam quale componente del pagamento dell’herbaticum). Agnelli mise in evidenza l’origine bergamasca dei “malghesi” anche se la ricerca recente (in particolare condotta da Enrico Roveda)4 ha messo in evidenza come, nel lodigiano e nel pavese tra XII e XV secolo oltre ai malghesi provenienti dalle valli bergamasche ve ne erano anche provenienti dalla Valcamonica e da altre fonti sappiamo che una precoce transumanza di malghesi era caratteristica anche della Valsassina.
Del diritto di pascolo nel nostro territorio Nel Medioevo. Origine e Storia della Parola Malghese
da: G. Agnelli, Del diritto di pascolo nel nostro territorio Nel Medioevo. Origine e Storia della Parola Malghese, in “Archivio storico per la città e comuni del circondario di Lodi”, disp. 3-4 ( 1886) pp. 54-64.
[…] Avviene molte volte di udire sulla bocca di persone anche istruite, e di trovare negli istromenti anche odierni la parola malghese applicata a quella persona che in buon italiano si chiamerebbe mandriano, proprietario e conduttore di mandre di vacche.
La radice di questa parola tradisce l’origine celtica mille miglia lontano, e noi la troviamo registrata nelle antiche carte del vescovado laudense sotto molti aspetti, tutti tendenti ad applicarle il significato di mandriano. […] Il diritto di porre malghe o madre aspettava solamente al signore, e i Vescovi di Lodi, che avevano la signoria sopra gran parte del territorio laudense, sono i potevano mettere queste mandre a pascolare sulle terre di loro giurisdizione, e quindi venivano processati coloro che, senza il permesso, o, come diceva sì allora, parabola del vescovo, avessero osato tenere malghe. Anzi questo diritto era tanto inveterato nel solo feudatario, che ad un suddito bastava provare di avere tenuto mandre impunemente per un dato tempo, per esimersi dal prestare il dovuto omaggio al padrone.
[…] Fin da quei tempi le mandre e più numerose venivano dalle montagne bergamasche, ed i vescovi di Lodi affittavano i pascoli a quei mandriani vantaggi, padroni di gran quantità di pecore, capre vacche. Una famiglia di ricchi mandriani proveniente da Gorno, in val Seriana, paese per lunghi anni in affitto i pascoli del vescovo di Lodi: alcune carte dell’archivio vescovile accennano a questi negozi. il 13 dicembre 1233 il Vescovo Ottobello Soffientino eresse una carta investientis usque ad XV diem madii [che concede sino al XV giorno del mese di maggio a] Maiso figlio di Alberto Riboldo, e Albertino figlio di Mozone de Gorni de Bergamasca de herbatico [di Gorno in Bergamasca ad erbatico] nella corte di Cavenago, ducentem XVIII trentenaria ovium domino preabente casaticum [che conduce 540 ovini presso un ricetto del signore già sussistente] nel quale stanno le pecore e i loro malgariis [pastori], per il pagamento di Lire VII imperiali aut XVIII lactes e XVIII agnos pro erbatico, et XII lactes pro casatico provvedendo il Vescovo de pungatis [fiorito?] et mascherpis [mascherpe, ricotte grasse].
Questo Maiso de Gorno l’anno dopo, 18 Gennajo 1236, teneva i pascoli di Castione e Senedogo; aveva XL trentenaria pecorum et caprum [1200 tra pecore e capre], e pagava XX libre imperiali e formagiam unam.
Questi mandriani Bergamaschi prendevano in affitto non solo i pascoli del vescovo, ma anche quelli di altri feudatari giacché troviamo una carta del 14 dicembre 1304 con la quale Guilenzio di Sommariva e Consorti affittano l’erbatico del territorio di Orio a Ruggero e Perino di Gorno margariis episcopatus pergami [malghesi della diocesi di Bergamo] fino al 8 giugno prossimo futuro, per soldi XI imperiali per trentenario et pro quolibet vacha denarios sex. [per ogni trenta pecore e sei denari per ciascuna vacca].
La provenienza dei più ricchi mandriani dal Contado di Bergamo spiega la causa per cui a questa gente che attende al governo delle mandre, anche nostrali, viene al giorno d’oggi distinta con nome di bergamini .
Con questo vocabolo adunque vengono distinte, nel nostro territorio, tutte le persone che attendono al governo delle vaccine, ed i proprietari di mandrie provenienti dalle montagne di Bergamo: questi ultimi però si designano anche con nome speciale di malghesi. Invece proprietari di mandre che dimorano nei nostri paesi non si chiamano né malghesi, né bergamini, ed anche i mandriani forestieri che si stabiliscono nella nostra pianura comperando o prendendo ad affitto le possessioni, perdano di mano in mano l’appellativo di malghese assumendo il comune di fittabile o proprietari. Con questo ci pare spiegato in modo abbastanza chiaro l’origine e la storia della parola malghese, tanto adoperata nel nostro vernacolo.