Domenica 31 Ottobre, ore 11:00, presso la sede del Parco dei Colli di Bergamo (Sala convegni), Via Valmarina 25, Bergamo
(accesso da Via Ramera di Ponteranica – SS 470 della val Brembana). Saranno presenti i famigliari e i suoi amici pastori. Tutti coloro che lo hanno stimato per il suo impegno disinteressato, per la sua generosità, per il puntiglio orgoglioso con il quale rivendicava il valore delle cultura pastorale sono invitati a presenziare.
di Michele Corti
presidente dell’Associazione pastoralismo alpino, cofondatore dell’Associazione pastori camuni (poi lombardi), amico del Tino
Tino, finalmente i tuoi amici ti ricorderanno
Tino (Martino) Ziliani è mancato improvvisamente, all’età di 67 anni, il 24 febbraio del 2020. Eravamo all’inizio della “prima ondata” del contagio e le notizie allarmistiche (e contradditorie) circa lo svolgimento delle cerimonie funebri hanno tenuto lontano molti amici che venivano da più lontano (però la chiesa era gremita). Sentiti i pastori più vicini al Tino, si concordò di attendere tempi migliori e di organizzare una commemorazione come lui merita e come gli amici, i tosatori, i pastori si aspettano. Ma i tempi migliori slittavano, si allontanano invece che avvicinarsi e vivevamo nell’incertezza su quello che avverrà nei prossimi mesi. L’anniversario, a febbraio 2020, era saltato. La manifestazione sulla pecora bergamasca a Spirano ad Aprile, dove si pensava di poter finalmente commemorarlo saltò. Il PalaSpirà che doveva ospitare l’evento divenne hub vaccinale. Se nel parla nel 2022.
Finalmente, nonostante il terrorismo sparso a piene mani ancora oggi, la fine estate-inizio autunno 2021 è coincisa con una normalizzazione de facto e le manifestazioni hanno iniziato a riprendere quasi al ritmo usuale. Così ha potuto riprendere anche il Festival del pastoralismo di Bergamo l’occasione giusta ricordarlo, visto che è stato grazie al suo contributo che il Festival è nato. L’associazione Festival del pastoralismo, che ha gestito la manifestazione sino al 2019 (oggi ha cambiato il nome in Associazione Pastoralismo alpino), era una diretta emanazione delle attività che Tino Ziliani portava avanti con l’Associazione pastori lombardi, della quale mi onoro di essere un cofondatore insieme a Tino, quando si chiamava ancora Associazione pastori camuni.
Perché commemorarlo a Bergamo e al Festival del pastoralismo? Nulla vieta di commemorarlo in Valcamonica, si intende, ma commemorarlo a Bergamo, dove Tino aveva alcuni dei suoi migliori amici pastori, è un atto di riconoscenza perché senza di lui non ci sarebbe stati il Festival del pastoralismo e il Festival del pastoralismo è nato con l’aiuto determinante di Tino con un simbolo disegnato da me nel 2000, quando si progettava l’Associazione pastori camuni. Seguendo quelle attività culturali, dimostrative, divulgative, promozionali che per Tino rappresentavano la cosa più importante. A Tino spetta la riconoscenza non solo dei pastori ma anche di chi ha a cuore la cultura pastorale, la cultura rurale, la cultura alpina. Senza Tino la Lombardia non sarebbe stata inserita nel riconoscimento Unesco per la transumanza. Tino era capace di coinvolgere. Molto disponibile e generoso spingeva anche gli altri (quelli recettivi, ovviamente) a operare in modo disinteressato. Persone così lasciano tanti amici e non credo che l’impegno che essi dividevano con lui andrà disperso (almeno così spero).
Una famiglia di pastori transumanti
Tino era nato il 29 luglio 1952 in una famiglia di pastori di Pian camuno. Pastori transumanti erano gli avi, pastore il nonno e il papà Battista, classe 1901. La mamma, Margherita Laffranchini, classe 1913 proveniva, invece, da una famiglia di carbonai (un altro mestiere che implicava mesi di solitudine in montagna a preparare i poiàt , spesso nutrendosi di latte di capra). Pastore è il fratello Mario, di tre anni maggiore, pastori i cugini Giacinto e Francesco, pastori i cognati che hanno sposato le sorelle Alma, Marilena e Lina. Uno dei cognati si chiama Mario Ziliani, come il fratello, un altro è Domenico Imberti, di Parre (paese di pastori per eccellenza). I figli dei cognati proseguono l’attività paterna. Il padre effettuava la transumanza sino a Voghera con 200 pecore; in estate si recava (sempre a piedi) in val Peghera (alta Valcamonica). Allora i greggi erano ancora di dimensioni modeste ma un gregge forniva, con la lana, un reddito che integrava in modo significativo la vendita della carne. Basti pensare che un kg di lana venduto dal pastore valeva 1000 £ (più di 13 € di oggi) e che le pecore, allora producevano all’anno 5-6 kg di lana contro i 3 di oggi. Nel 1971, raggiunti i settant’anni papà Battista si ritirava. I figli, che avevano imparato il mestiere decidono di vendere le pecore mettere a frutto in Svizzera le conoscenze acquisite. E’ Tino, il più giovane a recarsi per primo in Svizzera reclutato da un amico. Mario segue di lì a poco il fratello e, per qualche anno, lavorano insieme. Bisogna premettere che il pascolo vagante con i greggi ovini in Svizzera si pratica in inverno (da marzo ai primi di novembre non è consentito).
Tino aveva imparato a condurre le pecore facendo il pastore con il padre e il fratello maggiore Mario. Nel 1971 si era recato per la prima volta in Svizzera dove è rimasto ad esercitare la transumanza invernale sino al 1987. Per diversi anni i fratelli Ziliani hanno lavorato ancora insieme. In estate si spostavano sulle Alpi, dove Mario accudiva le vacche da latte (che dovevano essere anche munte).

Tino seguiva le pecore da carne ma dava comunque una mano al fratello a mungere. Durante l’inverno (novembre-marzo) portavano in transumanza un gregge di agnelli da carne nel cantone di Zurigo. Si trattava di una transumanza ben diversa da quella tradizionale, che è esercitata con greggi di fattrici. Il pastore è solo, con i cani, gli asini, le pecore. I fratelli Ziliani nella loro attività di pastori in Svizzera, oltre a molte tecniche della transumanza bergamasco-camuna hanno anche mantenuto a lungo anche l’equipaggiamento personale del pastore realizzato con ruvido pannolana dal “sarto dei pastori”, Rino Pasini di Gandino. Ricorda Mario Ziliani che si recava a piedi a Gandino da Rino Pasini per farsi fare i gabà (verdi, oltre che neri), le giacche e i calzoni che cambiava frequentemente. Oltre al tabarro, al giaccone, al gilet anche i calzoni da loro utilizzati erano di ruvida lana bergamasca. Tino in Svizzera ha imparato il mestiere di tosatore. Al macello. I maestri di Tino sono stati uno svizzero, Olivier, e un inglese, Steven. Il primo aveva iniziato a fare il pastore insieme a un bergamasco a Ginevra. Ha poi iniziato a tosare i greggi condotti da Mario e Tino Ziliani recandosi in Nuova Zelanda per frequentare i corsi da tosatore professionista. Steven era un pastore la cui famiglia era proprietaria di quasi 30 mila pecore. L’alto valore della lana in Svizzera dove, a differenza dell’Italia e dei paesi della CE, erano stati mantenuti i dazi di importazione, faceva si che venisse tosata anche quella degli agnelli destinati ad essere sacrificati.
Da pastore a tosatore
In Svizzera, Tino sposò Teresa, una ragazza che lavorava nella zona dell’aeroporto di Zurigo frequentata dal nostro pastore. Alla nascita della figlia Larissa, nel 1987, è tornato a casa con la famiglia, stabilendosi definitivamente a Pian camuno, e si è dedicato alla professione di tosatore. Da tosatore Tino è stato, per qualche stagione, in Inghilterra, dove ha partecipato alle competizioni di tosatura (dove i campioni riescono a tosare una pecora in meno di un minuto). Insieme a Steven è stato anche in Scozia. Qualche volta è tornato in Svizzera a tosare i greggi affidati al fratello. Tosatore di livello internazionale ha partecipato a gare di tosa in Francia e in Svizzera (sponsorizzate dalla ditta di tosatrici Heininger), una volta anche a una competizioni internazionale in Austria. Grazie alle conoscenze acquisite all’estero (anche se in vita sua ha preso una volta un aereo per paura del volo), Tino riuscì a mettere insieme una squadra internazionale composta da tosatori professionisti: sardi, francesi, spagnoli, neozelandesi, inglesi. All’inizio la squadra era composta da Tino e da Olivier più altri due tosatori che potevano essere stranieri (che si spostavano da un paese all’altro e da un emisfero all’altro sfruttando la differenza delle stagioni di tosa), altri erano locali. La maggior parte dei tosatori era di estrazione pastorale (così un Balduzzi Carèt, Andreino Palamini, Pietro Pacchiani che continuavano a fare i pastori) ma vi era anche un maestro di sci camuno, il Bortolo. All’inizio la squadra disponeva solo di una jeep con il carrello e doveva rientrare a casa di Tino a tarda sera per dormire. Poi si erano attrezzati con una piccola tenda. A quei tempi non esistevano ancora i telefonini. I pastori che chiamavano per tosare le pecore telefonavano sul fisso a casa di Tino anche in piena notte svegliando la moglie. Nella sua disponibilità nei confronti dei pastori veniva coinvolta anche la famiglia. Attraverso l’attività di tosatore, il Tino ha continuato a restare legato al mondo dei pastori pur rinunciando a svolgerla lui stesso. Per i pastori il poter disporre di una squadra di professionisti internazionali è stato un grande vantaggio in un contesto in cui il valore della lana continuava a diminuire e la tosa “artigianale” sarebbe diventata un costo insostenibile. I pastori avevano da tempo iniziato ad utilizzare le tosatrici elettriche (ancora negli anni ’60, però, “qui si tosava con il fòrbes“, come ricorda Mario Ziliani) ma la velocità di un tosatore non professionista è ridicola rispetto a quella dei “laureati”.
“I pastori hanno la vita dura“
Tino, che aveva provato cosa significa la vita del pastore, dormendo all’aperto in inverno in Svizzera, era molto comprensivo con i pastori e cercava di venire loro incontro il più possibile. Non sollecitava i pagamenti e preferiva che si occupassero altri della parte economica. Quando non era impegnato con la sua squadra a tosare i grandi greggi dei pastori transumanti si prestava anche a tosare dei piccoli greggi. Il lavoro con la squadra lo teneva impegnato buona parte dell’anno, spostandosi tra le diverse regioni del Nord Italia e nelle due stagioni. Nel tempo Tino ha formato anche degli allievi “locali”, come Claudio Filisetti che, lasciata la fabbrica, che non gli piaceva, ha iniziato ad aiutare i pastori e, incoraggiato da Tino, è diventato tosatore rimanendo a fianco del “maestro” per undici anni, sempre disponibile, anche al di fuori del lavoro di tosatura, a tutte quelle iniziative, spesso di puro volontariato, che Tino metteva in piedi o a cui partecipava. Il ritmo di tosa di Tino era di 250-300 pecore al giorno, quello dei tosatori “ordinari” di 150-180.
Attraverso l’attività di capo-tosatore, Tino era diventato un punto di riferimento per molti pastori. La sua generosità, che potrebbe apparire sino eccessiva, ma che era semplicemente gratuita, il suo mettere sempre davanti i pastori, la cultura dei pastori, a sé stesso faceva sì che i pastori gli delegassero volentieri una funzione di rappresentanza. Convinto della necessità che i pastori dovessero in qualche modo relazionarsi con le istituzioni e diffondere un’immagine pubblica positiva della loro attività (in forza del suo valore di patrimonio culturale e dei servizi ambientali resi), Tino, nel 2000, fondò l’Associazione pastori camuni che divenne poi, nel 2005, Associazione pastori lombardi e della quale è stato presidente sino alla morte. Un aiuto al Tino, nel far partire l’Associazione, lo dette – oltre a me, al tempo docente di sistemi zootecnici pastorali montani presso il corso di laurea di Edolo – il camuno dott. Angelo Bonù, tecnico dell’Associazione provinciale allevatori di Brescia per la sezione ovicaprini, un vero appassionato di zootecnia e cultura camuna cui si devono le prime iniziative per la conservazione della capra bionda dell’Adamello e il riconoscimento di diversi formaggi camuni (fatulì, motelì, stael).
Di fresco costituita, l’Associazione organizzò un piccolo festival del pastoralismo camuno: Belati in piazza a Edolo (in embrione c’erano già quelle formule che poi saranno sviluppate con l’esperienza di Terre d’Alpe a Cuneo, nel 2013 e poi a Bergamo, dal 2014 in poi). Nel 2001, l’associazione di Tino Ziliani, con i proventi di dimostrazioni di tosatura effettuate in occasione di vari eventi in valle e in provincia di Brescia, avviò una prova pilota di lavorazione della lana dei pastori, producendo – con le pezze di tessuto ottenuto – dei capi di abbigliamento pastorale tradizionale. Un progetto del tutto “autofinanziato”, “autosostenibile” che la dice lunga sulla distanza siderale tra lo spirito dell’Associazione pastori camuni e quello di tante organizzazioni che utilizzano progetti fumosi per finanziarsi. Le dimostrazioni di tosatura erano organizzate dal Tino che, oltre a prendere i contatti con le amministrazioni e i soggetti privati (per esempio l’Archeopark di Ausilio Priuli), si occupava dell’arrivo delle pecore e naturalmente… di tosare. Ai fini della lavorazione della lana si rivelò preziosa la collaborazione della filiera laniera della val Gandino. Tino conosceva molto bene Silvano Pasini, il titolare del Lanificio Ariete (scomparso il 29 ottobre 2020). Presso l’impianto di Gandino veniva lavata tutta la lana dei pastori e Tino, oltre a tosare, si preoccupava anche, almeno per una parte dei pastori, di fare da trait d’union con Pasini. Così Silvano Pasini si prestò gratuitamente a lavare quattro quintali di lana sucida tenendola separata (pur essendo una piccola quantità per il grande impianto di lavaggio “tipo Leviathan”).
Con grande disponibilità, il lanificio Gusmini di Cene (dove, negli anni ’90 era stato prodotti l’ultimo pannolana bergamasco) aveva poi provveduto, a prezzo politico (e superando alcune difficoltà tecniche) a filare, tessere, tingere e operare il finissaggio. La sartoria Taglio Avion di Bonetti (Sovere) aveva poi provveduto a confezionare i capi. Il tessuto venne realizzato a “mezza saglia”, come da tradizione del lanificio bergamasco, e tinto in nero e in marrone; in parte fu invece lasciato naturale (ecru). Un omaggio alla tradizione dell’abbigliamento dei pastori che, sino all’Ottocento utilizzavano capi (in particolare i tabarri) marroni, bianchi e verdi (per poi uniformarsi al nero solo a fine secolo). Con alcune pezze di tessuto più pesante (800 g/mq) vennero confezionati alcuni tabarri (gabà) e altri indispensabili componenti del “corredo del pastore”: la giacca col carniere (dove riporre gli agnelli appena nati) e i calzoni. Questa produzione è stata riservata ad alcuni pastori come Mario Ziliani che praticavano il nomadismo durante l’inverno. Con le pezze di tessuto di peso più ridotto (600 g/q) sono stati invece confezionati ì gilét (crozèt), e altre giacche destinate, nelle nostre intenzioni, non solo ai pastori ma anche a chi per l’uso all’aperto. La “linea” era stata proposta con il marchio Pastori camuni regolarmente depositato presso la Camera di Commercio di Milano. Con il tessuto “naturale” furono realizzati, a titolo dimostrativo, alcuni accessori che possono essere confezionati in ambito casalingo: semplici gilét, cappelli, borse. Tino era molto orgoglioso del risultato.
Tra le tante attività di Tino, va segnalato il suo impegno nel rilanciare la mostra ovina di Rovato. Per alcuni anni l’Associazione pastori lombardi organizzò, in occasione della mostra ovicaprima di Rovato, dei convegni, cui seguiva anche l’assemblea dell’Associazione e una cena dei pastori. Fu un’occasione per tentare di dare un carattere più strutturato all’Associazione stessa e, persino, di stringere contatti con degli embrioni di aggregazioni simili che stavano tentando di costituirsi anche in Veneto e in Piemonte. Purtroppo senza risultati.
Tino, però, riuscì ad accreditarsi presso le istituzioni. Teneva contatti con esponenti politici e funzionari e riuscì ad aprire dei “tavoli” tra pastori e istituzioni, non solo con la Regione Lombardia ma anche con il Parco del Serio (che produsse i migliori risultati, che stanno venendo ora a frutto con forme di convenzione) e con il Parco Adda Sud.
Con il Parco delle colline di Brescia, l’Associazione guidata da Tino, promosse un progetto di pastorizia in contesto urbano, finalizzato a interventi di ripristino e manutenzione di superfici erbacee. Con il comune di Brescia venne anche siglata una convenzione con la quale si prevedevano percorsi alternativi rispetto ai passaggi sull’asta del fiume Mella in area contaminata da Pcb. L’Associazione di Tino promosse varie iniziative per promuovere le carni di eccellenza dell’ovino gigante bergamasco. Furono organizzate, sin dal 2010-2011 delle “cene del castrato” e proposti menù in ristoranti delle provincie di Bergamo e di Brescia. Anche per iniziativa di Slow Food la cosa ebbe un seguito e oggi vi è un buon numero di locali che utilizzano carni e derivati provenienti da macelli e laboratori di pastori.
l’Associazione ha svolto un ruolo importante mettendo in contatto fotografi e registi interessati a documentare il mondo del pastoralismo transumante lombardo. Cristina Meneguzzo, Michela Barzanò e Emanuela Cucca con “Fuori dal gregge” (Italia, 2012, 42′) hanno realizzato un film-inchiesta che ha consentito ai pastori di raccontarsi e non di essere raccontati da punti di vista, se non arbitrari, quantomeno soggettivi. Tra la primavera 2010 e quella successiva, le autrici hanno seguito una quindicina di pastori nei loro spostamenti invernali e in alpeggio. I materiali prodotti sono stati inseriti nell’AESS (Archivio di etnografia e storia sociale della Regione Lombardia). Grazie ai contatti stabiliti con l’assessorato alla cultura della Regione in questa occasione, Tino riuscì ad attivare gli uffici per l’inserimento della Lombardia nella candidatura Unesco della transumanza quale patrimonio dell’umanità.
Tutte queste attività venivano svolte da Tino a titolo di volontariato senza disporre di alcun rimborso spese perché l’Associazione era molto debolmente strutturata e non in grado di partecipare a bandi e di ricevere finanziamenti. Era basata sul volontarismo del Tino e dei suoi amici pastori più stretti . I primi anni attraverso le tessere l’associazione riuscì ad avere un minimo di entrate, poi molti pastori non versarono più il tesseramento. Sapevano che, pagandosi di tasca sua anche le spese di trasferta, Tino avrebbe comunque continuato a fare qualcosa per loro. Avvisato anche all’ultimo di qualche iniziativa dove la sua presenza avrebbe potuto essere utile per i pastori, Tino interrompeva quello che stava facendo e partiva. Quando alcuni pastori, che pure non partecipavano agli incontri e non pagavano la tessera, si trovavano nei guai, allora chiamavano di notte Tino che cercava di aiutarli. Questa estrema disponibilità per gli altri l’ha portato anche a trascurare la propria salute.
Per alcune attività, come le iniziative a Brescia nel 2015 (Greggi in città), l’Associazione pastori si era appoggiata al Festival del pastoralismo, una collaborazione stretta e fruttuosa quella con i pastori che, oggi, l’Associazione pastoralismo alpino, intende continuare in modo che la bella esperienza messa in movimento da Tino non si disperda e che i pastori transumanti continuino ad avere un soggetto di riferimento (sia pure sul piano culturale e promozionale) che, del resto, era quello che lui privilegiava.