Il Festival del pastoralismo di Bergamo in collaborazione con: ass. gente di montagna e Oratorio della parrocchia di città alta
presenta il film
Enchikunye
Venerdì 18 novembre h 20:30
Sala del Seminarino di Città Alta, in via Tassis 12
dopo la proiezione interventi del regista e animazione con l’autore della colonna sonora
Regia: Sandro Bozzolo
Anno di produzione: 2015
Durata: 43′
Tipologia: documentario
Genere: sociale
Paese: Italia
Culture diverse, colori della pelle diversi, età diverse ma più forte la condivisione dai valori del pastoralismo
Il titolo in lingua maa significa “tornare verso casa”. Leaak giovane donna maasai kenyana, e Silvia, bergera piemontese trascorrono un’estate in alpeggio imaparando a conoscersi e raccontandosi. “Ritorno a casa” perché la cultura pastolare parla un linguaggio comune ma anche perché le strutture dell’alpeggio nelle Alpi marittime della provincia di Cuneo (i gias) sono spesso primitive capanne di pietra a secco. Non sconfinati come nel Kenya gli spazi dell’alpe sono pur sempre grandi per le due donne. Esse sperimentano una coesione più forte delle differenze di età e colore della pelle, legata anche alla natura patriarcale dei popoli di pastori dove (sia pure in forme diversificate e non scontate) l’identità di genere è un elemento forte.
L’opera suggerisce importanti spunti di riflessione in un epoca in cui i fenomeni migratori sono visti con preoccupazione o con favore ma sempre come fenomeni di masse che nella condizione “migrante” perdono le loro identità. Per i popoli pastori, caratterizzati in tutto il pianeta da una forte identità tribale è più facile non lasciarsi omologare. Va però detto che anche i masaai come tanti altri popoli pastoralisti sono (non da oggi) oggetto di tentativi di sedentarizzazione forzata in forza di politiche di “protezione ambientale” che segnano un altro forte parallelismo con i pastori piemontesi, da non pochi anni alle prese con il ritorno del lupo e con la politica dei parchi.
Al tema della comunanza di problemi di “tribù” così lontane il film solleva anche il tema
della necessità di valorizzare il “migrante” tenendo conto della cultura di origine. Condizione indispensabile per sfuggire al un destino di assitenzialismo/ sfruttamento/ nuova marginalità. La ragazza masaai è solo un esempio eclatante (in forza della notorietà del suo popolo) di questo inserimento virtuoso. Ma vi sono tanti pastori (anche rumeni) che operano sui nostri alpeggi valorizzando la loro profonda cultura e professionalità di pastori di tradizione. Mentre, in altri casi, macedoni, marocchini e rumeni, pur con un retroterra pastorale sono impiegati quale manodopera flessibile, più disponibile a dure condizioni di lavoro degli italiani. Estese dal microcosmo degli alpeggi all’universo dell’immigrazione queste storie potrebbero insegnare che la consapevolezza e l’orgoglio delle differenze, troppo spesso esorcizzate pensando siano un ostacolo alla comprensione reciproca, rappresentano la condizione per rapportarsi al “diverso” senza temere per la propria identità e scoprendo che, a fianco della differenza, esistono anche nuclei di valori comuni.
Suggestiva colonna sonora di Ciro Buttari che si richiama all’ancestralità delle sonorità pastorali