Domenica 20 novembre ore 16:00 presso la sala dell’ex Ateneo (Piazza Duono/Piazza padre Reginaldo Giuliani) a Bergamo alta
Presentazione del volume
Zootecnia e caseificio. Tradizioni da leggenda in Valsassina.
Saranno presenti Giacomo Camozzini, Michele Corti (autori), Paolo Bellavite (editore) che illustreranno la ricerca alla base dell’opera e il suo contenuto.Con Alvaro Ravasio (Casarrigoni, Taleggio) e Antonio Carminati (Centro studi valle Imagna) discuteranno delle strette relazioni tra le valli bergamasche e la Valsassina (con assaggi di formaggi valsassinesi, di CasArrigoni e della valle Imagna).
Corredato da centinaia di foto d’epoca, il volume presenta una storia orobica centrata sulla Valsassina e Lecco ma dove emerge anche il forte intreccio con la Brianza, la bassa lombarda ma, soprattutto, con l’alta val Brembana e la val Taleggio, unite alla valle lecchese in forza della comune civiltà dei bergamini e degli stracchini da cui è nata la moderna industria casearia
editore: Bellavite, Missaglia (Lecco)
data di edizione: luglio 2016
formato: 23,0 x 28,0
pagine: 382
prezzo: 32 euro
La forza della Valsassina è consistita nello stretto legame tra capacità allevatoriale e competenze casearie. Erano i bergamini – che iniziarono la loro epopea nel lontano XV secolo – a riassumere in sé le due condizioni. Ai bergamini sono dedicati due capitoli basati sia su notizie e documenti storici che sulle interviste ai membri di famiglie che sono ancora residenti in Valsassina o che si sono trasferite alla Bassa. I bergamini, la conformazione della valle e il facile accesso alla pianura furono le chiavi del successo del caseificio valsassinese. Non le grotte che erano presenti anche altrove nelle prealpi dove esistono fenomeni carsici ma solo qui, dove i pascoli e i prati erano abbondanti, dove vi era un vicino mercato importante come Lecco, dove vi era il perno di insieme di relazioni e di scambi che – in termini di alpeggio e produzione casearia – includevano la Brianza, la Valbrembana, la Valgerola, la Valtaleggio, è nato il moderno caseificio. Qui si erano accumulate competenze ed esperienze in materia di produzione, stagionatura, commercializzazione del formaggio che, nel 1880, attirarono capitali e ditte casearie da Codogno,
Milano, Torino, Gorgonzola, Novara. La Valsassina per alcuni decenni è stata la capitale del caseificio italiano, da dove transitava la maggior parte del gorgonzola e una fetta consistente della produzione casearia italiana. Anche dopo la fine dell’ “era del gorgonzola” che aveva determinato la costruzione di grandi casere, il distretto caseario valsassinese ha continuato a rappresentare una realtà senza uguali nelle aree montane. La Valsassina ha rappresentato anche la capitale della razza bovina bruna. Il Libro genealogico, istituito sin dagli anni Venti è stato un punto di riferimento per la
formazione della razza bruna in Italia e per decenni dalla Valsassina sono stati diffusi in varie regioni italiane capi selezionati. Il sindacato allevatori valsassinesi svolse negli anni Venti-Trenta un ruolo di avanguardia, coniugando l’attività tecnica (controlli, monte con quella commerciale), un ruolo che in Italia non è ha trovato seguito e che è stato svolto nei decenni vicini a noi solo dalla Federazione allevatori di Bolzano. In questa azione per l’affermazione della vacca valsassinese ebbero un ruolo chiave le grandi mostre zootecniche settembrine di Pasturo che arrivarono a schierare 1300 capi. La forza della Valsassina consisteva anche nella capacità di rappresentare uno sbocco commerciale con le sue casere e le sue ditte alla produzione delle valli vicine.
Valsassina vuol dire stracchini ma anche formaggio grasso d’alpe (misto capra) che i valsassinesi producevano sino sulle alpi della Valgerola oltre che a Biandino, in alta val Varrone, a Bobbio. Oggi la produzione del bitto storico continua all’alpe Varrone. Valsassina vuol dire anche caprini, la cui pasta fresca arrivava da Valtorta (portata dalle donne con i gerli a piedi) in val Brembana ma anche dalla val Taleggio e dalla Brianza. La produzione di stracchini provenienti dalla val Taleggio verso le casere di Maggio, Pasturo e Balisio ha dato il nome al prodotto all’inizio del
Novecento grazie all’impulso alla penetrazione sul mercato nazionale impresso dalla Cademartori, seguita dalla Mauri. Il volume riporta con dovizia di particolari la storia dell’organizzazione zootecnica, delle mostre, della nascita delle aziende casearie, seguendo l’evoluzione delle ditte più antiche e il sorgere di quelle che ancor oggi sono sulla scena. Un capitolo importante è dedicato alle aziende di matrice valsassinese che ancor oggi operano a Novara (dove i bergamini valsassinesi svernavano sin dall’inizio della transumanza alla fine del medioevo) e a Cuneo (dove la valsassinese Locatelli creò all’inizio del Novecento una serie di stabilimenti). Ci si può chiedere perché questa storia gloriosa sia poco conosciuta, perché ai bergamini e ai pionieri del caseificio (tranne a coloro che divennero capitani di industria come i Locatelli, Galbani, i vari Invernizzi) non sia stata tributato il giusto merito storico.

la val Biandino
Ci si può anche chiedere perché un patrimonio di storia e di cultura come le casere sia stato in larga misura abbandonato al degrado mentre in Francia sarebbe divenuto una meta turistica di prim’ordine a tutto vantaggio non solo del turismo ma anche dell’immagine del caseificio e dell’agroalimentare lombardo. Le risposte forse stanno in una storia che ha deviato dal suo alveo, in una sistematica svalutazione di passato, memoria, identità. Però qualcosa si può recuperare. A partire dall’orgoglio per la realtà, di una storia (che nessuno può cancellare) di una valle che ha saputo essere una protagonista, di rilievo internazionale, della storia casearia.