da: Michele Corti La pecora Bergamasca, Provincia di Bergamo, Bergamo 1999
Prima della fine del XI secolo l’allevamento in Lombardia assume già importanza
anche se le sue caratteristiche dono del tutto diverse da quelle dei secoli successivi.
In pianura vi è la predominanza assoluta dell’allevamento suino, basato sul pascolo
sugli incolti e nei boschi. In montagna predominano gli ovini che forniscono
formaggi e lana; vi è anche un certo numero di bovini che eccede ampiamente le
esigenze dei lavori agricoli. In pianura , invece, i bovini sono scarsi e la loro presenza
è levata alle esigenze agricole. Nonostante la presenza di grandi possessi fondiari,
come quello del monastero di S.Giulia a Brescia che all’epoca possedevano alpeggi,
terre lacustri e di pianura in grado di fornire cereali, prodotti della pesca,
dell’olivicoltura e dell’allevamento, si può escludere che sfruttando la distribuzione
sul territorio di questi possessi i grandi proprietari laici e religiosi esercitassero
intorno al 1000 la transumanza ovina. S.Giulia, per esempio, pur possedendo alpeggi
in Valcamonica e vasti possessi sul Po e nel basso Oglio solo più tardi entrò in
possesso di quelle terre lungo il medio corso Oglio che divennero tappe chiave della
transumanza ovina tra le Alpi e il Po nei secoli successivi; lo stesso vale per altre
grandi possessioni. La composizione del patrimonio zootecnico delle curtes di S.
Giulia a Barbata, Clusone e Sovere era la seguente: ovini 74%, suini 21%, bovini 3%,
capre 2% (Carissoni 1985). I Ghisalberti a Bergamo sfruttavano diritti di pascolo in
tutta la montagna e la pianura bergamasca ma senza gestire forme di allevamento.
Anche nel caso del capitolo di S.Alessandro e le monache di S.Grata sembra
l’interesse nell’attività pastorale fosse limitato all’esazione di diritti signorili,
rispettivamente ad Almenno e a Sarnico. All’inizio dell’ XI secolo diverse fonti
mettono in luce la presenza di una transumanza ovina a breve raggio nell’ambito dei
complessi fondiari mentre nelle valli si afferma il del ruolo dei comuni di montagna.
Gli spostamenti di greggi ovine vengono esercitati sia tra i mons (alpeggi) ed i
fondovalle (o gli altipiani) che tra gli alpeggi e l’area collinare o il bordo della
pianura. Un caso che ben illustra l’importanza delle aree di alpeggio nell’ XI secolo è
quello del Monte Negrino, non solo per le contese che opposero Scalvini e Bornesi
nel 1018 e nel 1091, ma anche per il gran numero di grandi proprietari (14!) laici e
religiosi della Valcamonica, di Bergamo, di Brescia e persino della Valtellina
(Monastero di Tirano), che vi esercitavano dei diritti d’uso. Solo nel caso dei
proprietari più vicini i diritti erano però effettivamente esercitati.
Nel XII secolo il ruolo dei proprietari si limiterà a percepire l’herbaticum o la decima
del gregge o a ricevere l’affitto dai comuni o da qualche monastero. Nel caso degli
spostamenti stagionali delle greggi nell’ambito della stessa valle o di valli vicine, tra
comuni limitrofi o tra comuni e signori si stabilivano degli accordi molto precisi
relativamente alle modalità di utilizzo delle zone di svernamento utilizzate da
settembre alla fine della primavera. Tra tali zone troviamo la Val Borlezza e il Pian
d’Oneda sul lago d’Idro. Spostamenti più lunghi venivano effettuati nell’ambito delle
grandi proprietà. Il Monastero di S.Eufemia a Brescia, fondato nel 1030, disponeva
di aree di pascolo vicino alla città, lungo il corso del Chiese e di alpeggi in
Valcamonica e in Val Trompia. Anche l’antico monastero bresciano dei SS. Faustino
e Giovita possedeva alpeggi in Valcamonica e in Val Trompia nonchè proprietà
nell’alta e persino nella bassa pianura. Tra queste proprietà si esercitava la
transumanza ovina stagionale. Una transumanza a medio raggio veniva esercitata
anche tra le curtes signorili della collina (come quelle dei Mozzo e dei Brembate site
nei pressi di Bergamo) e gli alpeggi nelle valli.
Monaci e allevamento: la transumanza tra media montagna e media pianura
Alla fine del XI secolo nei pressi di Bergamo troviamo diversi monasteri che
praticano l’allevamento ovino. Tutti questi monasteri (Pontida, Fontanella, Astino,
Vallalta, S. Paolo d’Argon) sono situati nella fascia al fine di esercitare l’allevamento
ovino transumante che, all’epoca, rappresentava l’attività economica di maggiore importanza e sicuramente innovativa (MENAN, 1993). Si conosce ben poco, invece,
dei monasteri bresciani anche se probabilmente i possedimenti di quelli di Provaglio
e di Rodengo ben si prestavano alla transumanza ovina. In quest’epoca (fine del XI,
inizio del XII secolo) l’autorità comunale era ancora in fase di consolidamento e di
estensione a più vasti ambiti territoriali ed era ancora impensabile un trasferimento
delle greggi a lunga distanza (MENAN, 1993). Solo la presenza di grandi proprietà
estese dalla zona collinare ancora largamente incolta (baricentro della transumanza) e
alle basse valli poteva assicurare il controllo dello spostamento stagionale degli ovini
in condizioni di sicurezza. I monasteri della bassa pianura bergamasca si limitavano a
riscuotere i diritti signorili di pascolo (herbaticum)(MENAN, 1993). Quanto ai
cistercensi, cui è stato attribuito un ruolo molto importante nelle trasformazioni
agricole del XII secolo, non solo per le opere di bonifica, ma anche nello
sfruttamento di immensi patrimoni fondiari di terre incolte con le tecniche della
grande pastorizia transumante (SERENI, 1972), pare che in Lombardia il loro ruolo si
sia limitato all’allevamento ovino stanziale presso le loro grandi proprietà della bassa
pianura. Ciò a differenza del Piemonte dove questo ordine ha avuto un ruolo
importante nell’organizzazione della transumanza ovina potenziando con lo sviluppo
dell’irrigazione le disponibilità di foraggio per le greggi che discendevano dalle Alpi
(COMBA,1985). In Lombardia l’allevamento ovino era sicuramente praticato dai
Cistercensi nelle grandi possessioni ancora solo in parte bonificate come dimostra la
presenza di un mulino a follone1 presso l’abbazia di Chiaravalle Milanese.
L’interesse dei cistercensi lombardi era però rivolto prevalentemente ai boschi e alle
coltivazioni (COMBA, 1985) .
Gli allevamenti cistercensi come quelli delle numerose grangie Umiliate nei pressi di Milano (Monluè, Costellazzo, Lonate, Selvanesco, Viboldone e Mirasole) potevano disporre di vasti pascoli (BARBIERI, 1974) decaddero rapidamente con la sparizione dal mercato milanese della lana della lana nostrana nel XIII secolo e con l’ampliamento dell’irrigazione e pertanto non ebbero quell’importanza per la storia dell’allevamento ovino lombardo che ebbero invece i monasteri bergamaschi. Relativamente a questi ultimi disponiamo fortunatamente di una serie di informazioni riportate dal MENAN, 1993; sappiamo innanzitutto che i greggi erano composti da diverse centinaia di capi (500 o più capi). Il monastero di S.Giacomo di Pontida possedeva in Val S.Martino vaste estensioni di boschi ed incolti, ma anche terre in Brianza e a Medolago. Grazie all’acquisizione di alpeggi in media Valle Brembana e Vallimagna (Fuipiano) i Cluniacensi di Pontida riuscirono a disporre dei rari alpeggi veri e propri (da 1.000 a 1.500-1.800 m) facilmente
raggiungibili dal piano. Nel XII entrarono anche in possesso di vasti pascoli della
Carpendasca sul Serio, di una piccola proprietà a Montanaso Lombardo sulle rive
dell’Adda mentre già possedevano proprietà a Morengo, ai margini della vasta
campagna di Orzinuovi che, come vedremo, sarà ampiamente utilizzata per secoli
dalle greggi bergamasche, e a Pompiano. Le proprietà di Pontida si trovavano a
distanza regolare, in modo da poter raggiungere le tappe successive della
transumanza in un periodo di soli due giorni di marcia.
Gli altri monasteri non disponevano sempre di un patrimonio fondiario così ben distribuito sul territorio. Fontanella disponeva solo della montagna dove è situata. S.Paolo d’Argon , oltre che delle foreste intorno al monastero, di buoni pascoli invernali sull’Oglio. Vallalta, oltre agli abbondanti pascoli (e prati) sui fianchi dei monti sovrastanti il monastero, disponeva di tre “monti” di cui non si conosce la localizzazione e di tre proprietà presso Orzinuovi, più un’altra a Martinengo che costituiva una tappa intermedia tra il monastero e le campagne di Orzinuovi.
Astino disponeva, a differenza degli altri monasteri, di terreni irrigui ma possedeva anche numerose terre asciutte non lontane dal monastero (a Levate e Paderno) nonché pascoli sul Serio; possedeva inoltre propri alpeggi in Valle Brembana e diritti di transito e pascolo in Vallimagna. A differenza dei greggi di altri monasteri durante l’inverno quelli di Astino potevano restare nei pressi del monastero senza effettuare spostamenti. Quanto a Rodengo esso possedeva pascoli sui 1.000 m sopra Polaveno e proprietà nella campanea di Orzinuovi.
La fase della transumanza “monastica” appare caratterizzata dallo sfruttamento (con
qualche eccezione) di pascoli di bassa e media montagna, non classificabili come
alpeggi(2) , e soggetti ad una precoce maturazione dell’erba. Anche per quanto riguarda
i pascoli invernali l’utilizzo del piano non va al di là della campanea di Orzinuovi
che, successivamente, sarà utilizzata come tappa intermedia verso i più ricchi pascoli
della bassa pianura. La zona collinare era, pertanto, fondamentale dal momento che
sia la stagione estiva che quella invernale offrivano risorse foraggere
quantitativamente e qualitativamente limitate. Si trattò quindi di una fase di
transizione, caratterizzata da una transumanza dai tratti arcaici, non in grado di
sfruttare efficacemente le risorse territoriali. Essa fu comunque importante, perché
aprì la strada ai percorsi della successiva transumanza a lungo raggio, ma era
destinata a terminare presto sotto la pressione di alcune tendenze che vennero
affermandosi a partire dalla fine del XII secolo. Esse erano rappresentate dalle
pressioni per la divisione delle terre incolte, dall’opposizione ai diritti di pascolo
altrui da parte delle comunità rurali, dai disboscamenti e dissodamenti (peraltro
avviati dagli stessi monaci). Al di là dell’attività esercitata dai monaci, che, dietro
compenso, conducevano ai pascoli anche le pecore degli abitanti dei villaggi, erano
sicuramente presenti come in precedenza forme di transumanza a breve raggio gestita
direttamente dagli abitanti dei villaggi (MENAN, 1993). Ciò avveniva sia nell’ambito
delle medie e alte valli, sia della zona pedemontana dove, previa riscossione di forti
tasse, le comunità rurali dell’alta pianura accoglievano le greggi dei villaggi
pedemontani mentre d’estate avveniva l’inverso per i greggi della pianura che
salivano alle primi pendici delle prealpi, Questa transumanza “incrociata” a breve
raggio è documentata per i villaggi a sud del Lago d’Iseo (Credaro, Calepio, Urago
d’Oglio, Chiari e Coccaglio) ai margini settentrionali della campagna di Orzinuovi.
Essi inviavano le loro pecore d’estate sui Monti Bronzone (1.334 m) e Bondo (1.067
m) versando l’herbaticum al comune di Adrara.
Note
(2) la follatura rappresenta la fase di finitura del tessuto con la quale se ne aumenta la compattezza e la resistenza sottoponendolo, immerso in acqua con eventuali agenti chimici a martellatura.
(2) sono esclusi dall’Inchiesta sugli alpeggi della provincia del Bergamo dell’inizio del ‘900, (Serpieri, 1907).