Mille anni di transumanza

Mille anni di Transumanza tra le valli e la pianura bergamasca (per saperne di più)

Tutta la pianura bergamasca è stata interessata nei secoli dalla transumanza dei bergamini, gli allevatori-casari transumanti provenienti dalle valli. Questi ultimi erano disposti a sobbarcarsi lunghe transumanze sino alla bassa pianura lombarda, ma anche verso il Piemonte e l’Emilia (e, alla fine del medioevo, anche verso il Veneto) ma, senza dubbio, potendo trovare fieno e ricetto per i propri animali e le proprie famiglie nella stessa Bergamasca non c’è da dubitare che avrebbero preferito non allontanarsi troppo dalle loro montagne. La pianura bergamasca, però, era troppo piccola per poter accogliere le mandrie che scendevano dalle valli bergamasche (con l’eccezione della val di Scalve legata alla sua vocazione mineraria). Studiano i movimenti dei bergamini verso le mete più lontane (Novara, Pavia, Lodi, Milano, Cremasco, Cremona, Bassa Bresciana) si è sottolineato come Bergamo città e la Bergamasca fossero attraversate dalle direttrici della transumanza, ma si data scarsa attenzione alla presenza dei bergamini nelle aziende della pianura bergamasca dove pure il fenomeno è stato importante. Di certo il fenomeno delle mandrie che, all’inizio dell’autunno e che in tarda primavera si spostavano lungo le strade del piano bergamasco era imponente. Vi erano cinque direttrici principali: la prima che portava verso il milanese e oltre, verso il Novarese, il Pavese, il Lodigiano (con attraversamento dell’Adda a Vaprio) e che prevedeva soste nel triangolo Osio sotto, Pontirolo, Boltiere, la seconda, che diventerà la strada statale “Bergamina”, che portava verso Treviglio (e oltre verso il Cremasco e il Lodigiano), la terza lungo la strada cremasca (Cologno, Fornovo, Mozzanica), la quarta era la direttrice della strada soncinese (Cassinone, Ghisalba, Romano, Soncino), l’ultima dalla val Seriana e dalla valle di Adrara puntava verso la bassa Bresciana (con attraversamento dell’Oglio a Palazzolo). Al di là del ruolo di transito, però, la pianura bergamasca era anche una destinazione per i bergamini.

Riferendosi alla Gera d’Adda bergamasca, l’inchiesta del governo lombardo-Veneto sui caseifici lombardi del 1840 (Archivio di Stato di Milano, Commercio, parte moderna, busta 16) riferisce che

Il formaggio viene fabbricato in ogni comune con il latte delle vacche di vari particolari che lo portano giornalmente al Malghese stabilito nel rispettivo comune, dal quale si tiene conto del latte consegnato da ciascun individuo sino alla concorrenza di quella quantità che basti ad allestire una o più forme di formaggio per conto dell’individuo stesso.

È’ interessante osservare che, in estate, quando i bergamini salivano ai loro monti la produzione casearia in pianura cessava del tutto e il poco latte disponibile si utilizzava a scopo alimentare, mancando le quantità necessarie per la caseificazione e chi fosse capace di praticarla. Questa situazione si protrarrà nella bassa Bergamasca sino agli inizi del XX secolo. Tanto che le prime latterie cooperative e caseifici privati sorsero nella bassa Bergamasca solo con ritardo rispetto alla montagna. Dopo gli anni Venti, però iniziò un forte sviluppo dei caseifici con l’insediamento di ditte quali Invernizzi a Caravaggio e Mauri a Treviglio. Tutt’oggi importanti caseifici industriali recano sin dal nome l’origine bergamina (Invernizzi, Arrigoni).

 La presenza dei bergamini era legata alla disponibilità dei prati irrigui. La disponibilità di acque era legata ai fontanili, frutto di opere di bonifica e sistemazione agraria e ai canali di irrigazione (le “seriole”), che utilizzano acque derivate dall’Adda, dal Serio e dall’Oglio. In realtà non solo la media e bassa pianura furono interessate allo sviluppo delle coltivazioni foraggere e alla presenza dei bergamini ma anche alcune aree agricole prossime alla città che vennero favorite dall’irrigazione già in epoca comunale o che presentano terreni naturalmente umidi (come alla base dei colli di Bergamo). La presenza dei bergamini era così diffusa, non solo nella Gera d’Adda e nella Calciana (prima di Napoleone non appartenenti al territorio bergamasco) ma anche a zone anticamente bergamasche e nello stesso comune di Bergamo. Ne fa fede la presenza nell’area prossima alla città di stalle di grandi dimensioni (oggi spesso inglobate nell’urbanizzato e con altra destinazione) che nei documenti dei secoli passati sono definite “da malghese” o “da bergamino”. La presenza dei bergamini nel circondario irriguo era così descritta da uno storico locale:

Lussureggiano marcite a Misano, Caravaggio, Bariano e in gran numero a Fornovo. Singolarmente a Brignano, Calcio, Calcinate, Caravaggio, Cavernago, Fornovo, Palosco, Romano, Verdello […] verdeggiano pingui prati, che chiamano fra noi i pastori e specialmente i mandriani, i quali perchè vengono dai monti di Bergamo, sono detti Bergamini. Scendono colle mandre ai nostri pascoli nel novembre, vermigli e coi loro costumi montanini; le donne col cappello maschile e la rocca, gli uomini cogli anellini d’oro all’orecchio e davanti il grembiale turchino; finché in aprile lieti tornano ai monti natii.  Marco Carminati, Il Circondario di Treviglio e i suoi comuni. Cenni Storici, Treviglio, Tipografia Messaggi, 1892, p. 17.

La presenza, sin dal medioevo dei malghesi/bergamini è sottolineata anche da specifici toponimi. Osserva lo stesso autore trevigliese:

Specialmente d’inverno non vi era terra, per quanto piccola, che non contasse pastori e mandriani o bergamini. Per riparare essi e le mandre, nei pascoli si erigevano vaste tettoie (lèzé) , delle quali alcune crebbero in cascine e frazioni. Così forse fra noi ebbero origine le cascine Portici a Brignano, a Mornico, a Romano, a Torre Pallavicina; la cascina Tezza a Bagnatica, e Litezzo, frazione di Cologno. (Ivi, p. 63).

E’ curioso che i bergamini, visti dalla montagna, fossero considerati “gente di pianura”. Il concetto di originario un tempo era infatti differente da quello attuale: se ci si assentava per un lungo periodo dell’anno, anche se si ritornava ogni anno nella valle natia, si era classificati “foresti”. La spiegazione va cercata nella rivalità tra stanziali e transumanti nell’aggiudicazione dei pascoli e nella tendenza delle comunità di antico regime di depennare i migranti per ridurre la “torta” dei beni comunitari in uso comune da suddividere. Dalla remota val Tartano (un territorio geograficamente appartenente alla Valtellina ma bergamasco per lingua, cognomi e antiche relazioni economiche e religiose, tecniche casearie) i bergamini arrivavano dalla “pianura di Bergamo” secondo questa testimonianza etnografica.

(…) un tempo i bergamini della pianura di Bergamo [in realtà originari della montagna] venivano con il loro bestiame sugli alpeggi della Valle [val Tartano, geograficamente valtellinese ma appendice della val Brembana oltre il crinale, come testimoniano la lingua e i cognomi]. È’ una transumanza tipica: la grossa mandria, accompagnata da pastori con cani (erano cani pastori bergamaschi), era seguita da un carro a due ruote alte, su cui erano caricati le caldaie e gli altri attrezzi per fare il formaggio, le secchie per il latte, e il necessario per far da mangiare, indumenti e coperte; impiegavano parecchi giorni nel trasloco. Si arrangiavano a trovare una cascina o una tettoia per fare il formaggio e magari per cuocere la polenta e la minestra; qualcuno dormiva sul carro, gli altri in un fienile […] Diversi bergamini prima di condurre le mucche in alpeggio si fermavano alcuni giorni nella contrada Araal perché qui possedevano prati G. Bianchini, R. Bracchi, Dizionario etimologico dei dialetti della Val Tartano, Idevv, Grosio, 2003, pp. 80-81

La realtà dei prati verdeggianti, della produzione di latte abbondante (un po’ appannata negli ultimi decenni sia per l’urbanizzazione senza sosta che per le difficoltà del settore) non deve far dimenticare che la pianura bergamasca era, secoli fa, un’area caratterizzata da territori secchi, brughiere, boschi, zone umide.

Ancora nella prima metà dell’Ottocento, come dalla carta dello stato maggiore asburgico del 1832, vi era una “brughiera di Osio, tra il Brembo e Osio sopra e sotto), boschi a Pontirolo, Bairano, Morenzo, risaie di palude a Mozzanica. Dobbiamo quindi pensare a un ruolo (attivo) dei bergamini che prende avvio da un assetto territoriale ben diverso da quello raggiunto a fine Ottocento.  L’area asciutta intorno a Ciserano (la Campanea o Campagna), altro nome per indicare le brughiere aride) era concessa in affitto a malghesi transumanti. Partendo dal contratto più antico tra quelli pubblicati dal Paganini, risalente al 1495, che investiva di tutto il pascolo il malghese Giacomo Prandini di Gandellino dell’alta val Seriana, si può osservare la trasformazione avvenuta nelle strutture fondiarie e negli indirizzi agricoli tra XV e XVIII secolo. I pascoli si trasformano in prati irrigui piantumanti, gli ovini – con gradualità – lasciano il posto ai bovini, i fabbricati rurali al centro del paese sono affiancati da grandi stalle con abitazione per i malghesi realizzate nelle campagne. (M. Paganini, Ciserano in età veneta aspetti socio-economici, in Ciserano: il paese, la sua gente, la sua storia, Amministrazione Comunale di Ciserano, Ciserano, 1994, pp. 97-207) e considerando quelli più recenti.

Le grande campanee dell’Oglio e la transumanza

Le trasformazioni territoriali investono anche le grandi aree di pascolo lungo l’Oglio che rappresentarono il principale punto di arrivo per la transumanza ovina più antica (XI secolo) e quindi intermedio (negli spostamenti tra le valli e il Po). Nella famosa, spesso riprodotta mappa delle transumanze mediterranee contemporanee, riportata da Fernand Braudel nell’opera Civiltà e imperi del Mediterraneo all’epoca di Filippo II (vol 1, Torino, Einaudi, 2002, pp. 88-89 – ed. or. Paris, 1949), si osserva un fiumicello sinuoso al centro delle Alpi, che contrasta con i lunghi “fiumi di transumanza” che interessano l’Italia centro-meridionale, la Romania, la penisola iberica. Quel fiumicello rappresenta, in ogni caso, il percorso più lungo delle transumanze a sud delle Alpi (240 km). Una tappa strategica lungo questo percorso, che rappresentò il capolinea, l’area di svernamento invernale sino all’avvio della transumanza a lungo raggio sino al Po (seconda metà del XII secolo), poi – come osservato – una tappa intermedia chiave (nei periodi stagionali intermedi), era rappresentata dalla grande campanea di Soncino e Orzinuovi. Essa formava un’ampia area pastorale che si estendeva sino a Cividate, Cortenuova, Romano Covo e Antegnate tagliata in due dal fosso bergamasco, confine tra Bergamo e Cremona. Nonostante la presenza di canali di irrigazione destinati a portare acqua più a Sud (la roggia Pallavicina, iniziata nel XIII secolo fu potenziata nel XV) in quest’area le bonifiche furono intraprese solo a partire dal XVI secolo con spietramenti, irrigazione delle terre secche e drenaggio di quelle umide, semina del trifoglio. Con queste trasformazioni, l’area divenne un luogo di svernamento delle mandrie transumanti di bovine da latte (dalla fine del XIV secolo sino al XX scolo). Ancora nel XIX secolo vi erano però ampie superfici a bosco e a prato umido. I toponimi “fenile” e “feniletto”, ancora numerosi, riflettono l’assenza di strutture agricole organiche riferendosi a strutture semplici di supporto all’attività pastorale. Tutt’oggi l’asta dell’Oglio, come quelle dei grandi fiumi lombardi, rappresenta una risorsa chiave per la pastorizia transumante delle greggi ovine.

Primordi della Transumanza

Anche se vi sono forti indizi della presenza di attività di transumanza in epoca romana (M. Corti, Tracce di transumanza in territorio bergamasco prima del secolo XI, Archivio storico bergamasco, in press) è certo che, durante l’alto medioevo queste si interruppero. Una possibile ripresa della transumanza nel X secolo interesserebbe proprio l’area a nord di Soncino. Il monastero di Santa Giulia di Brescia possedeva una curtis, a Barbata, che, secondo Baronio (A. Baronio, Tra corti e fiume: l’Oglio e le «curtes» del monastero di S. Salvatore di Brescia nei secoli VIII-X, in Rive e rivali. Il fiume Oglio e il suo territorio, Roccafranca, La compagnia della stampa, 1999, pp. 11-74), rappresentava il terminale di una transumanza di greggi del monastero provenienti dalle curtes di Clusone e Sovere. Dopo il 1000, Santa Giulia acquisisce la curtis di Florianum (Torre Pallavicina) al centro della campanea e, in particolare di quella che era indicata come Silva maiore (Campanea s.v., inA. Mazzi, Corografia bergomense nei secoli VIII, IX e X, Pagnoncelli, Bergamo, 1880, p. 138; F. Galantino, Storia di Soncino, vol. 3, Bernardoni, Milano, 1870 p. 14). Il monastero di S. Paolo d’Argon, dal 1179 otteneva la metà del pascolo di Florianum (a compenso delle proprietà di Rudiano e Aguzzano sulla sponda sinistra dell’Oglio) e, dal XIV secolo una grangia a Pumenengo (F. Menant, Campagnes lombardes du Moyen Âge. L’économie et la société rurales dans la région de Bergame, de Crémone et de Brescia du X e au XIIIe siècle, Ecole française, Rome 1993, pp. 265-266, cartografia p. 929).

L’importanza economica della transumanza bassomedievale

La transumanza divenne un business molto importante nei secoli del tardo medioevo, tanto che i grossi interessi in gioco furono all’origine di contese tra Bergamo e Cremona ma anche tra Cremona e Soncino. Soncino, le cui pretese non si estendevano a nord di Calcio, dovette sostenere, negli anni ’40 del XIV secolo, una lite con Cremona che usurpava i diritti di pedaggio sulle “malghe” (greggi) che venivano a sfruttare l’erbatico e l’arbatico (il pascolo in bosco, importante perla capacità degli ovicaprini di sfruttare il pascolo arboreo-arbustivo di foglie e gemme) nella pieve di Calcio (Galantino, op. cit. pp. 48 e 74). Già nel XII e XIII secolo, Cremona imponeva diverse gabelle alle greggi bergamasche che scendevano nell’episcopato: la “traversia” era riscossa dalla strada di Robecco in su (Codex diplomaticus cremonae, 715-1334, – a cura di L. Astegiano – vol. 2, Torino, Forni, 1896, p. 374), la tassa “dei Malfiastri”, che corrispondeva al servizio di protezione delle greggi da parte dei cremonesi Malfiastri. Ne erano stati investiti dall’imperatore Federico I e dal vescovo di Bergamo; tale tassa venne confiscata dal comune di Cremona (Ibidem). Alle malghe bergamasche era anche imposto il dazio su fieno, paglia, strame e legna utilizzati durante la permanenza nella pieve di Calcio (Ibidem). Al di là delle varie gabelle (cui si deve aggiungere il pedaggio per il passaggio dell’Oglio), la transumanza era importante anche per la commercializzazione dei prodotti: lana, pelli, formaggi.

Gli Statuti di Gli statuti di Soncino, pubblicati nel 1693, ma risalenti al 1393 (F. Galantino, Storia di Soncino, vol 2, Milano, Bernardoni, 1869, p. 139), impongono che nessun malgarius [termine che era passato a indicare gli allevatori in generale] residente nella terra o nel suo distretto possa vendere «butyrum, vel mascherpam [ricotta grassa] alicui revenditori vel revenditrici» o a qualsiasi persona del comune di Soncino a meno che non si presenti con i prodotti «in platea comunis» [sulla pubblica piazza] al fine di metterli in vendita e vi rimanga almeno due ore di orologio, sempre che non riesca a vendere tutto prima, pena una salata ammenda di dieci lire e la requisizione dei prodotti. La prescrizione valeva anche per i transumanti «de Malgariis forensibus, & habitantibus extra districtum Soncini venientibus in Soncino, vel territorio ad vendendum aliquod butyrum, vel mascherpam» (Statuta Soncini 1693, pp. 346-47: «Rubrica generalis. De Revenditoribus, & Malgariis», cap. 645 «De eodem contra malgarios»). Interessante notare che le previsioni del capitolo non si applicano al formaggio dal momento che la produzione dei malgarii era rappresentata dal formaggio stagionato che veniva acquistato e stagionato dai commercianti. La presenza del burro, che non si produce dal latte di pecora, è indice della presenza nelle malghe transumanti di vacche da latte e della trasformazione agroambientale in atto.

A distanza di oltre due secoli e mezzo, l’importanza economica della transumanza con le vacche da latte (i cui conduttori già dal XV secolo iniziarono ad essere indicati come bergamini) è confermata da alcuni documenti. Nel testamento di Adalberto Pallavicino del 1569 che descrive il compendio dell’attuale Palazzo Barbò a Torre Pallavicina si legge:

«…la Torre detta del Sig. Tristano sita in Territorio Calcianae inferioris cum Palatio Novo, curte cum muris dictae turri adiacentibus; item cum domibus, stabulo a parte septemtrionali cum cameris a bergamino […] seu testam verso foveam, cum fovea dictae Turris, & cum rippa versus Curtem, & ubi contingeret, […] item Viridarium sito in dicto loco Turris de praesenti plantatum perticarum viginti sex […]».

Una delle più importanti proprietà della Calciana quindi, che si era anche fatta promotrice dello sviluppo irriguo mediante la realizzazione della Roggia Pallavicina ospitava quindi i bergamini che consumavano il fieno prodotto sui prati irrigati risultato dei miglioramenti fondiari intrapresi dai proprietari (ma per la cui realizzazione il letame dei bergamini, con l’accumulo di humus e il miglioramento della fertilità del terreno risultava indispensabile).

Anche a Calcio all’inizio del Seicento, un sequesto di beni a danni dei nobili Secco menziona nell’inventario una “bergamina” che si riferisce a un ricovero per gli animali e, in modo specifico a vacche da latte, all’epoca verosimilmente transumanti.

I bergamini risorsa economica cruciale per l’economia locale

Nel XVII secolo i gravi elementi di crisi legati alle guerre e alla peste mettono in luce come i proprietari terrieri soncinesi traessero importanti vantaggi economici dalla presenza dei bergamini.  – Memoria (1666-1667) del “ragionato” del comune di Soncino al governo per ottenere sgravi fiscali a seguito della crisi seguita alla peste del 1630 e alle guerre:

«… buona parte del ricavo dei beni consiste in fieni, et questi erano consumati dai bergamini forestieri che apportavano danaro, grassina [latticini] e letame, et hora i proprietari non ne cavano più rendita perché la terra e i particolari [singoli possessori di terre] essendo  aggravati di contino di grosse esecutioni [sequestri giudiziari] per le quali venivano esecutati li detti Bergamini e le loro Bestie, si sono tutti absentati, et non se ne vede più neppure uno, ne anco de’ paesani non che de’ forastieri» (Galantino, op. cit., 1970, p.419).

Le circostanze lamentate dal “ragionato” di Soncino trovano conferma in alcune grida dei governatori spagnoli. Ancora nel 1691, quando le conseguenze della crisi non erano state ancora del tutto superate, il marchese di Leganes reitera grida precedenti (del 1650 e 1651) finalizzate a proteggere i sudditi dai sequestri di beni con i quali le autorità cittadine di Soncino cercavano di far fronte ai debiti contratti per la mancata corresponsione dei carichi militari pubblici e privati da parte della comunità. La grida imponeva di «non molestare» coloro che avessero pagato i carichi di pertinenza

«né meno che siano esecutate per debito di detta Communità le Vacche, od altri Animali proprij de’ Bergamini Forastieri, che sogliono dimorare in detto Territorio do Soncino à pascere li fieni con particolare utilità di quei sudditi» (Gridario generale delle gride, bandi, ordini, editti … per ordine dello governatori che hanno governato lo stato di Milano…, Milano, Malatesta, 1700, p. 168).

La storia recente

All’inizio del XIX secolo, in un prospetto statistico elaborato dal comune (anno 1807) a Soncino figuravano 101 “vacche da agricoltura”, destinate ai lavori agricoli e alla produzione di buoi e capaci di modestissime produzioni di latte, tolte quelle per lo svezzamento dei vitelli e 115 “vacche dei bergamini” con quattro caselli (caseifici) (Galantino, op. cit., p. 439). La presenza dei bergamini nelle cascine di Soncino prosegue per tutto l’Ottocento. I bergamini frequentavano sia la zona di Soncino che quella di Orzinuovi e di altri centri della bassa bresciana. Da segnalare che la grande azienda dei fratelli Silvestri di Calcio, proprietà dell’antica famiglia, si distingueva nella seconda metà dell’Ottocento per la qualità dei formaggi prodotti, svolgendo un ruolo d’avanguardia rispetto alla pianura bergamasca che solo con i primi anni del Novecento vide la nascita di cooperative per la lavorazione del latte. All’Esposizione bergamasca del 1870, l’azienda Silvestri, unica della pianura a concorrere nel campo dei latticini, ottenne una medaglia d’oro per i formaggi.

Nel corso del Novecento, diverse famiglie bergamine si sono stanziate nel territorio della bassa Bergamasca, del Cremasco, di Soncino passando alla conduzione agricola. Il fenomeno della “fissazione” era presente sin dall’inizio dell’epopea della transumanza dei bergamini (tra XIV e XV secolo), con la differenza che, nel Novecento, il numero di famiglie di montagna che iniziavano il ciclo della transumanza non compensava più quello di quelle che si stanziavano definitivamente alla bassa. Le “fissazioni”, in relazione alle convulsioni sociali dei dopoguerra (con l’apertura di possibilità di accedere all’affittanza e alla proprietà terriera furono particolarmente numerose in corrispondenza di quei periodi e nel periodo successivo alla riforma della legge sull’affitto dei fondi rustici del 1972. Dopo quel periodo, anche in relazione a drastiche trasformazioni delle tecniche di allevamento (stalle aperte, unifeed) il fenomeno della transumanza dei bergamini si è rapidamente estinto). Con il nuovo secolo, di fronte al rischio di perdita della memoria di un fenomeno di ampia portata per la storia sociale della montagna e delle campagne della Bassa, sono state avviate delle iniziative editoriali, divulgative, rievocative tese a valorizzare questo capitolo che riguarda le radici di un’ampia componente della categoria degli imprenditori agricoli ma anche tante famiglie che hanno intrapreso, spesso con successo, altre attività in campo industriale (agroalimentare), commerciale, professionale. Portatori di stili produttivi pragmatici e dinamici (che contrastano con gli stereotipi di conservatorismo che gli scrittori di cose agrarie hanno quasi sempre attribuito ai bergamini), gli agricoltori-allevatori di estrazione bergamina hanno saputo affrontare nel corso dei decenni trascorsi diverse gravi crisi del settore quali quelle conseguenti all’imposizione delle quote latte e all’allargamento dell’Unione Europea. La transumanza delle greggi, fortemente ostacolata da provvedimenti restrittivi, almeno dal XVI secolo, oggetto di forte avversione da parte degli agricoltori, specie tra la seconda metà del XIX secolo e l’inizio del XX, ha conosciuto, invece, una forte ripresa con un consistente aumento della dimensione dei greggi. Sull’Oglio e sul Serio la transumanza è ancora una realtà viva.

Famiglie di allevatori bovini transumanti a Soncino e Fontanella nell’Otto e Novecento

Boffelli – Giupponi – Avogadri – Vitali – Gusmaroli – Baronchelli – Messa – Oprandi – Ferro – Tomasoni – Nodari – Plodari – Toninelli

Esempi a Soncino

•Il 9/11/1823 nasce Maria, figlia di Giovanni Pieroli Pilenzi e di Teresa Maria Giaferri, malghesi che risiedono alla cascina Mosetta. Si erano sposati nella parrocchia di S. Gualtiero nei chiosi di Lodi, il 7/3/1820, il padrino è Marco Gipponi, famiglia di malghesi di Camerata Cornello in val Brembana.

•Il 6/9/1832 nasce Maria Bertocchi, figlia di Carlo Bertocchi e di Teresa Bertocchi, domiciliati alla Ripa Ferrera sposati nella parrocchia di Gandino il 20/2/1820

•Il 10/4/1839 nasce Maria Maddalena, figlia di Brignoli Lorenzo e di Capponi Maria, domiciliati a Ripa Ferrera, entrambi malghesi che si erano sposati a Gandino il 15/2/1835. Il padrino è Bertocchi Giovanni Maria domiciliato alla cascina Micheletto.