I bergamì tornano nel cuore di Milano

Venerdì 28 aprile alle 18 alla Sala del Grechetto della Biblioteca comunale centrale di Milano (Via Francesco Sforza, 7)


(23.07.17) Si torna a parlare di bergamini a Milano. Un ritorno a casa gli allevatori-casari transumanti di origine orobica che rappresentarono per secoli una presenza ben visibile nella metropoli lombarda. L’occasione è offerta dalla presentazione i libri di Michele Corti sul tema dei bergamini alla biblioteca centrale comunale (Palazzo Sormani-Andreani) nel quadro del ciclo di incontri Grechetto-dipoesia e delle attività di Latte&Linguaggio onlus che organizza a maggio alla ex Cascina Chiesa Rossa (biblioteca comunale realizzata in una vecchia stalla di bovine da latte) l’omonimo convegno-sagra rurbana Alla sala del Grechetto della Sormani si parlerà di bergamini e Milano, bergamini e Valsassina, con Michele Corti e Giacomo Camozzini (autori). Antonio Carminati (editore), Luigi Ballerini, l’anima di Latte&Linguaggio.

Ma non è strano parlare di allevatori-casari, per di più montanari nel centro di Milano? D’accordo che questi personaggi sono oggetto di libri, ma… E invece i bergamini proprio nella precisa zona di Milano dove sorge la più frequentata biblioteca cittadina, erano di casa.

Partiamo dalla via

I bergamini, come altre “categorie” che hanno marcato la storia di Milano del tardo medioevo e della età moderna, hanno – in pieno centro della città – una via ad essi  dedicata nel quartiere dove si concentrano e aleggiano  le loro memorie.  Come gli orefici, i cappellari, gli spadari, gli armorari ecc.

Per chi non lo sapesse la via bergamini è dedicata proprio a loro, era detta prima della più fredda “via bergamini”, “contrada dei bergamini”. Così, al plurale, era chiaro a chi ci si riferisse. Poi la toponomastica modernizzante ha censurato quegli arcaici “dei”e ciò non aiuta gli ignari.
La via quindi è intitolata ad una categoria, ai bergamini, non a un sig. Bergamini (cognome peraltro piuttosto diffuso), una categria che per i cittadini era tanto famigliare quanto i cappellai o gli orefici.  A togliere ogni dubbio c’è il fatto che, sulla targa infatti non c’è nessuna di quelle “qualificazioni”, dal sapore burocratico
(sino ad esiti comici quali: “Spartaco: gladiatore”), che accompagnano l’intitolazione della via sulle bianche targhe marmoree.
Ecco come si presenta oggi (foto sotto) la via bergamini (in fondo si vede bene  la facciata dell’ex Ospedale grande, ora sede dell’università). Sino a qualche decennio fa sulla via si affacciavano ancora le botteghe dei furmagiatt. Anche a occhi chiusi qui – chissà in quanti milanesi se lo ricordano – si percepiva il (fragrante, ma anche penetrante) nesso con una “storia di cacio e stracchino”. Ma quanti degli studenti che frequentano la “statale”conoscono i bergamini? Da tempo medito di eseguire un sondaggio in proposito. Di piazzarmi sotto la targa e fermare gli studenti: “scusa, non sono un rompiballe, ma un prof, e vorrei fare un piccolo sondaggio sugli studenti che passano da questa via…”
La dedica della via – che ha dato luogo a ricostruzioni a volte
fantasiose – era legata, ovviamente, alla presenza dei bergamini al “mercato della Balla” (il mercato istituzionale dei latticini, che ebbe più sedi e si teneva ogni tre giorni). Per secoli la sede era nell’area di via Torino (esiste ancora la via Palla,) poi venne spostato alla Cà granda (via Festa del perdono). Nell’opera Milano e il suo territorio, curata da Cesare Cantù ed edita nel 1844 si legge:

Ab antico si chiama la balla il mercato dei burri e latticinii in città e dapprima stava tra Sant Alessandro e San Giorgio ove ne dura il nome, poi fu trasferito presso l’ ospedale grande sotto una tettoia nè bella nè comoda, Ma un mercato dei commestibili è un altro de pensieri che la città va maturando (1)

 

 L’imbocco di via Bergamini negli anni Venti

 

Bergamini venditori diretti

I “mercati contadini” non sono certo invenzione degli ultimi anni. Le autorità annonarie cittadine (quel Tribunale di provisione che ci è famigliare dai Promessi sposi) si preoccupavano molto di calmierare i prezzi, di far affluire le derrate (2).
In un “mercato regolato” (inconcepibile oggi ai tempi del liberismo ma che non funzionava poi così male) numerosi e dettagliati “capitoli”(articoli dei regolamenti) si preoccupavano di come far affluire le merci e di controllare i prezzi. Così i nostri bergamini li vediamo citati spesso nelle regole relative alla gestione del mercato cittadino dei prodotti alimentari. Nei capitoli realativi a Olij, Grassi, Sevi, Candele, & Mele del Sommario delli ordini pertinenti al tribunale di provisione della citta et ducato di Milano… (3).

Cap. IX. Alcuno Postaro, ò rivenditore di questa Città non ardischi comprare, ne incaparare alcuna quantità di butiro, o mascarpe da alcuno Bergamino, ne altra persona, ne qualsivoglia vettovaglia in questa Città innanzi la seconda nona, ne di fuori per miglia dodici, ma tal butiro, & vettovaglie, che si conducono dalli Bergamini & altri alla Città, quali le debbano vendere loro stessi publicamente nelli luoghi destinati, publici, & soliti, conforme però sempre alli ordini, & non le possino vendere ad alcuno venditore di questa Città, ma solamente quelli, che vorranno comprare per uso proprio, & non altramente (salvo doppo l’hora della seconda nona come sopra alli Postari), & tutto ciò sotto pena de scuti cinquanta d’oro, e di tratti tre di corda, overo d’essere posto alla berlina o catena all’arbitrio delli detti Signori […]

Nella categoria dei “bergamini” figuravano anche quei personaggi che, pur continuando una vita “nomade” spostandosi da una cascina all’altra, avevano abbandonato la transumanza e si erano concentrati sull’attività casearia. Si tratta dei latée. Essi non solo mantenevano ancora diverse vacche da latte ma, con il siero e il latticello residuo delle lavorazioni casearie, allevavano anche diversi maiali che, una volta ingrassati, erano esitati sul mercato cittadino. Gente con una particolare sensibilità e affinità con gli animali (in testa avevano … i bes-cti)

MediatoreGiancarlo Vitali. Il mediatore

C’è una graduazione senza soluzione di continuità tra chi allevava e transumava, chi allevava e caseificava e chi – infine – si specializzò nell’attività di “negoziante”, vuoi di prodotti caseari, vuoi di bestiame. Da questo punto di vista va infatti ricordato come il “negoziante” non era solo un commerciante. Il bergamino (e i latée) vendevano formaggio fresco, spesso freschissimo (non ancora salato). Era il negoziante che, in appositi magazzini semi-interrati (dislocati in precise aree della città, come vedremo poi), provvedeva alla lavorazione, stagionatura, conservazione degli stracchini (e del grana). Ultimo anello della catena erano i rivenditori, i postari, i bottegai (ma spesso questa attività era legata a quella di commercio e stagionatura e, comunque era gestita da diversi rami delle stesse grandi famiglie). Quando, con l’espansione della città, che divorava marcite e cascine, diminuì l’offerta di stalle e foraggio ma aumentarono le bocche da sfamare, non pochi piccoli bergamini (i grossi diventarono agricoltori o imprenditori caseari) divennero “lattai” (non più nel senso di “casari” ma in quello di esercenti botteghe di vendita al minuto di latte e latticini (quelli che chi è nato negli anni cinquanta-sessanta ricorda con nostalgia e che oggi sono oggetto di revival). Non pochi divennero anche cervelée.
La presenza e la geografia dei bergamini a Milano è quindi legata a una costellazione di figure ad essi legate per rapporti di parentela e di affari. Figure stabilmente presenti in città: “negozianti” di formaggi, mediatori, commercianti di fieno e di bestiame, rivenditori di generi alimentari.

Una geografia dentro le mura

La presenza dei bergamini nella città si raggrumava in quello spicchio urbano entro la cerchia dei Navigli che unisce piazza Fontana alla Cà Granda. Dal punto di vista temporale i bergamini diventano visibili (agli atti) nel XVI secolo. Nel XVII rappresentano una presenza molto “famigliare” tanto che non solo i capitoli del mercato della balla ma anche altre normative li citano senza bisogno di aggiungere altro. Natale Arioli, nipote di un berlaj (nel lodigiano i bergamini che praticavano la transumanza erano spesso chiamati così) ex docente ITAS Codogno e allevatore (oltre che studioso) ha rintracciato la presenza dei bergamini in molti documenti (notarili) del XVI-XVIII secolo. E’ sorprendente come gli atti ci riconsegnino la realtà viva di persone che testimoniano in tribunale o da un notaio a Milano ma potevano venire dalla remota val Tartano che è nelle Orobie ma sul versante abduano. Oggi parli con amici “montagnini” e per loro venire a Milano sembra un’avventura nella jungla (metropolitana) mezzo millennio fa i nostri antenati montanari a Milano erano a casa loro. Ci andavano e venivano. La transumanza (e le migrazioni stagionali qualificate in genere) allargavano gli orizzonti e i montagnini erano tutt’altro che spaesati in città. In Valsasina i comuni affidavano ai bergamini servizi di “tesoreria”. Visto che, tranne in estate quando alpeggiavano, si recavano a Milano spesso (per vendere i prodotti o “fare mercato” di animali, acquisto del fieno ecc.) nel XVIII secolo, a Cassina, il comune incaricava il bergamino Giovan Battista Combi dell’effettuazione di pagamenti si vide abbuonato di parte dell’affitto in cambio del versamento a Milano ,a nome del comune, del corrisponente importo ad estinzione di debiti e imposte dovuti dal comune stesso (4).

Dettaglio della mappa di Milano di Giovanni Brenna del 1860

I bergamini erano ben visibili con i loro tabarri al mercato di piazza Fontana che si teneva due volte la settimana. Già, piazza Fontana…

La frequentazione della piazza (e della banca che serviva come appoggio per le operazioni) da parte dei bergamini intabarrati non era ancora cessata nel 1969 quando, il 12 dicembre, una bomba devastò il salone della Banca nazionale dell’agricoltura causando la strage che inaugurò un triste periodo.  Camilla Cederna, in un pezzo giornalistico che fece scuola (4) li citò tra le figure di un mondo rurale che stava scomparendo ma che esisteva ancora.
Erano presenze caratteristiche quelle dei bergamini (che non potevano sfuggire ai milanesi, anche a una giornalista che si era occupata di frivolezze primadi passare al giornalismo politico) . Prima della guerra la loro “divisa” era ancora più interessante. “

In Piazza Fontana a Milano non è più dato vederli avvolti nei loro caratteristici mantelloni pelosi di lana verde […]” (5). Così  scriveva negli anni Settanta Luigi Formigoni (zio di Roberto). Il veterinario Formigoni, a partire dagli anni Venti ebbe parecchio a che fare con i bergamini della Valsassina, capendoli e ammirandoli (fatto raro tra i tecnoburocrati).  Fu, infatt, qualità di funzionario (responsabile della zootecnia) della Cattedra ambulante di agricoltura e poi di direttore dell’Ispettorato agrario provinciale . L’abbigliamento dei bergamini in piazza Fontana dalla descrizione di un informatore bergamino, raccolta di persona diversi anni fa (6).

Prima della guerra i bergamìn prima de tutt gh’éren i uregìn d’òor, bei uregìn. Vegnéven in  piazza [Piazza Fontana] cun la scussalìna magàri un scussaa, quéi scussaa che metéven sü a fa i strachìn, de téla gròssa e i ligàven chidedrée [girato sul fianco e di dietro ] cun la tracòlla. Vegnéven in piazza cul scussaa, magàri gh’e n’era de quèi che metéva  sü anca un para de zuculàss gh’e n’era de quej che vegnéven sü cun scussàa e bastùn perché el  bastùn el mülàven no; l’utanta per cént di  bergamìn vegnéven  in piazza cul bastùn e l’era pròpi un abitùdin

esterno-san-bernardino

 

Come tutte le categorie i furmagiatt avevano un patrono e un”sindacato”.  Si tratta del Pio Consorzio di S. Lucio Martire, che venne canonicamente eretto nel venerando santuario di San Bernardino alle Ossa. Il Consorzio, fondato nel 1835 commissionò al pittore Ignazio Manzoni nel 1845 un grande dipinto ad olio, da cui fu ricavata una splendida stampa della raccolta Bertarelli: una scena animata che ripropone il santo nella sua opera di carità verso i poveri. Il dipinto era collocato a destra dell’altare maggiore, nel corridoio che porta all’uscita di via Verziere ora non è esposto perché ammalorato e necessita di restauro. Una riproduzione del quadro (sotto) è visibile all’esterno del caseificio di Morterone (in Valsassina)

La chiesa di San Bernardino alle ossa rappresentò un punto di riferimento costante per i bergamini . Come testimoniato da questa ricevuta rilasciata al “divoto signor Giuseppe Arioli” per la celebrazione di messe di suffragio. Gli Arioli rappresentano una dinastia di bergamini originari di Piazzatorre e Mezzoldo in alta val Brembana che conta ancor oggi allevatori e imprenditori caseari nell’area del lodigiano e nell’abbiatense.

Nella nostra geografia dei bergamini vogliamo includere anche il palazzo Sormani-Andreani. E non solopèer ragioni simboliche. Esso fino al 1783 era palazzo Monti e i Monti, originari della Valsassina, diventandone feudatari nel 1647. Per la famiglia, osteggiata dai Manzoni e da altri potenti il feudo rappresentò un pessimo affare economico. Si consolarono con… gli stracchini dei bergamini. Uno dei pochi vantaggi conseguiti all’infeudazione fu il possesso del monte (alpeggio)di Artavaggio. Nel 1731 Il conte Cesare Monti (nipote del cardinal Monti) affittò  il monte a Giuseppe Bera di Moggio per 1330 £ più un appendizio di 20 libbre di stracchino (poco più di 15 kg)  da consegnare presso il suo palazzo milanese (7).  Il palazzo è l’attuale sede della biblioteca comunale centrale (“la Sormani”).
In via Francesco Sforza, dove speriamo di veder scorrere ancora le acque dei quella che era  “cerchia interna”, oltre alla Sormani e alla Cà Granda possiamo aggiungere un altro elemento della geografia dei bergamini-furmagiatt. Essi, in alcuni casi fecero strada, alcuni in modo strepitoso entrando a far parte della più ricca borghesia cittadina. Uno di questi fu Romeo Invernizzi. Gli Invernizzi erano bergamini originari di Morterone (località che si raggiunge oggi da Ballabio con una tortuosa strada di 16 km). Carlo Invernizzi, padre di Giovanni, il fodatore della ditta, era nato nel 1837. Svernava nell’area di Treviglio e di Vaprio. Nel 1870 si stabilì definitivamente in pianura, lavorando come laté, il latte raccolto in zona, a Settala, a Sud di Melzo. Nel 1908, fondò la ditta che portava il nome del padre bergamino e, nel 1914, aprì uno stabilimento a Melzo (a breve distanza da quello della Galbani, altra ditta con origini bergamine valsassinesi).
Nel 1925 alla guida della ditta subentrerà il giovane Romeo che impresse un deciso impulso all’azienda. Il padre mantenne però sino alla morte (1941) il compito di selezionare le cascine fornitrici di latte. Giovanni Invernizzi si occupava anche di “rastrellare” i fondi agricoli in un periodo in cui i proprietari, appartenenti all’aristocrazia lombarda, erano in difficoltà. Dall’acquisizione di diverse piccole cascine nacque la proprietà di Trenzanesio (oggi un po’ mortificata dalla bretella della brebemi) nello stile della tenuta all’inglese, con tanto di daini. A far schiattare d’invidia aristocratici e borghesi dai nobili blasoni industriali era anche la sontuosità della dimora cittadina degli Invernizzi, il palazzo-villa con fronte Corso Venezia(e giardini pensili)  e retro su via Cappuccini con il famoso parco dei fenicotteri rosa.
Nel 1928 la Invernizzi rilevò da Galbani uno stabilimento già avviato a Caravaggio che consentì alla ditta di lanciare prodotti con il marchio di famiglia e di proiettarsi in campo nazionale e internazionale fino alla cessione alla Kraft nel 1985. A Pozzolo nacquero Giovanni ma anche i nipoti Remo e Romeo che mantenne le redini della società sino al 1982 e che si è spento a Milano nel 2004 a 98 anni al termine di una vita che l’aveva visto esordire da bambino comelaté, raccogliendo il latte prima di andare a scuola, e poi concluderla da ricchissimo industriale. Ricchissimo ma attento a ricalcare la tradizione meneghina di sostegno alle istituzioni ospedaliere. Così di fronte alla vecchia Cà Granda che vedeva i bergamini intenti a vendere i loro stracchini, sull’opposta “sponda” del naviglio (ancora coperto dall’asfalto tombale) oggi grazie ai lasciti dell’ex-laté, nipote di un bergamino transumante, sorge il più moderno padiglione della Cà Granda.

Una geografia che esce dalle mura

Il comune di Milano, fu circoscritto entro le mura (“spagnole”) sino al 1873, quando vennero assorbiti i Corpi santi, che costituivano un comune a se. Il perimetro dei Corpi santi, che divenne quello del comune di Milano (salvo poi fagogitare in tempi successivi parecchi altri comuni come quelli di Lambrate e del Vigentino). I Corpi santi, istituiti nel 1781 , rappresentavano una “camera di compensazione” tra la città e la campagna vera e propria. Si praticava un’agricoltura intensiva con moltissime  cascine. Quelle della prima fascia, di un miglio o poco più erano piccole e la produzione di latte era indirizzata prevalentemente al consumo fresco. Mano a mano che ci si allontanava dalle mura cittadine le cascine dei Corpi santi (così verso il Vigentino e Charavalle) assumevano l’aspetto di quelle tipiche della “bassa” con grandi corti che potevano ospitare anche centinaia di vacche da latte di più bergamini. Nei Corpi santi erano dislocate attività quali osterie, mulini,  lavanderie in stretta relazione con i bisogni della città ma anche attività industriali (concerie, fonderie, fornaci).

Il Borgo di San Gottardo (per i milanesi el burgh di furmagiatt sino a non molti anni fa) deve la sua fortuna alla presenza dei Navigli e della Darsena ma anche delle strade regie che correvano ai lati delle alzaie e conducevano verso il Piemonte e Pavia. Un ruolo decisivo nel determinare lo sviluppo del Borgo lo svolse però la normativa fiscale. I corpi santi erano esenti da dazio, quindi era possibile il magazzinaggio di merce deperibile destinata alla città (dove entrava solo quanto necessario al consumo cittadino) ma anche ad altre destinazioni interne  Questa favorevole condizione si instaurò però solo dopo il 1828. Sino a quella data, al fine di rendere meno agevole l’ingresso a Milano di merci di contrabbando, era vietata qualsiasi attività di deposito anche nei corpi santi e i furmagiatt milanesi avevano grandi magazzini di stagionatura a Corsico.  A metà degli anni cinquanta del XIX secolo i depositi caseari del Burgh raggiunsero il numero notevole di 105(8).
El burgh di furmagiatt mantenne una grande importanza nel commercio caseario sino agli anni trenta quando la stagionatura del gorgonzola venne trasferita a Novara. Per un certo periodo, mentre la funzione di magazzinaggio ormai declinava, le ditte mantennero ancora le sedi commerciali nel borgo (9)

Corso San Gottardo – El burgh di furmagiatt 

A Milano le attività di stagionatura dei formaggi non rimasero esclusive del burgh di furmagiatt. Verso la fine dell’ottocento si affermarono attività di stagionatura anche nella zona a N-E della città. Le storie di bergamini originari della val taleggio ci consegnano notizie di stagionature tra Porta tenaglia (oggi Porta Volta) e Porta Venezia. non sappiamo se e in quale misura queste attività (sicuramente di rilievo molto inferiore a quelle di Porta Ticinese) si rifornissero attraverso il vicino porto del Tumbun de San March (10). 

Per una strana coincidenza le due testimonianze riguardano due originari della contrada Grasso di Taleggio: uno: Pietro Bellaviti, nato nel 1828, si trasferì a Milano nel 1850 avviando un’attività di stagionatura a Porta orientale (attuale Porta Venezia), di certo in connessione con i numerosi bergamini di origine taleggina della zona dell’Est milanese. il pronipote racconta come il bisnonno realizzasse nel 1880 due edifici in Via spallanzani dove prima esisteva l’osteria Tri basèi (11). Nella foto sopra via Spallanzani a Porta (già Borgo) di Porta Venezia

Giacomo Danelli, nato negli stessi anni di Pietro Bellaviti, nel racconto di una pronipote (che ne conserva una fotografia di fine XIX secolo, qui a fianco) esercitò per tutta la vita l’attività di bergamino svernando solitamente nei Corpi santi. Come tutti i bergamini frequentava il mercato di Piazza Fontana e vendeva gli stracchini che produceva ad un nipote “negoziante” (commerciante-stagionatore) che risiedeva in Via Paolo Sarpi (dove il processo di urbanizzazione si sviluppò negli anni ottanta)(12)

La “polveriera” tuttora esistente in Corso Buenos Aires (negozio Benetton) 

Restando a Porta Venezia merita un accenno anche l’attività dei commercianti di bestiame di origine bergamina (13). I commercianti, spesso parenti degli allevatori visitavano le stalle dei bergamini che svernavano nel Milanese durante tutto l’inverno, acquistavano i capi che disponibili e li mantenevano nei loro depositi fuori Porta Tosa (oggi porta Vittoria), Romana ed Orientale (oggi porta Venezia) dove era possibile acquistarli anche a gruppi di decine di capi.  Tra i grossi commercianti di bestiame figuravano dei valsassinesi. Lorenzo Buzzoni di Barzio, nato all’inizio del XIX secolo, operava fuori porta Venezia, l’epicentro dei commerci di bestiame, e divenne proprietario di un edificio,tuttora esistente in corso Buenos Aires all’angolo con la via San Gregorio. Il fratello, che continuò a produrre latticini in Valsassina, ebbe meno fortuna. Il palazzo, realizzato a fine Settecento come polveriera (si chiama ancora così), era divenuto osteria con alloggio e stallazzo (“parcheggio” per i cavalli). L’osteria era luogo di incontro dei commercianti di bestiame.

La via Conte Rosso a Lambrate

La zona a Est della città era particolarmente ricca di cascine. Essa si estendeva poi verso la Martesana che, grazie al Naviglio e al ruolo di crocevia della transumanza di Gorgonzola, divenne (con Melzo) l’area del decollo industriale caseario. Dopo Gorgonzola era Lambrate il centro caseario più attivo nell’Est milanese. Sappiamo che nell’indagine sui ‘caselli’ del 1840 per la provincia di Milano (14) venivano segnalate, come chiaramente distinte dai ‘casoni’ o ‘caselli’, un certo numero di ‘fabbriche del formaggio’. Di queste ben 13 si trovavano proprio a Gorgonzola, mentre la maggior parte delle altre erano localizzate nella zona immediatamente ad Est di Milano dove era possibile ricevere il latte dai numerosi bergamini che operavano nell’area. Così ne sono indicate quattro a Lambrate (oggi comune di Milano), tre a Limito, tre a Linate (oggi comune di Segrate, confinante con Milano). A Lambrate ditte casearie (produzione e /o commercio) di una certa rilevanza si segnalano ancora nel Novecento e sono in genere gestite da bergamini della val Taleggio. A Liscate è tutt’oggi attivo nella produzione di stracchini il caseificio Papetti (il cognome, originario della val Brembana,  è uno tra quelli importanti nella storia dei bergamini).

Tutta la fascia a Sud, Est e Ovest della città era area di densa presenza dei bergamini. Qui ci piace ricordare, per concludere, almeno uno dei vecchi comuni milanesi fagocitati dallo sviluppo (spesso brutto e disordinato) della metropoli: il Vigentino (nella foto il municipio nella via Ripamonti). Molto fitta era la presenza dei bergamini a sud della città perché qui scorrevano i canali scolmatori (l’antica Vettabia e il Redefossi) che veicolarono per secoli le acque luride di Milano fertilizzando le campagne e consentendo produzioni foraggere super (per quantità, non per qualità). I due fattori: vicinanza del mercato di Milano e acque di irrigazione “grasse”. Poi con il dilagare del cemento le acque subirono un pesante inquinamento chimico a causa dell’uso dei detersivi non degradabili e della proliferazione di scarichi dei reflui di lavorazioni industriali.    Ci sarà spazio anche per “nuovi bergamini” nel futuro di Milano? Intanto al Parco del Ticinello la Cascina Campazzo continua a produrre latte dopo aver scampato il destino della lottizzazione . Ci sono tante cascine fantasmi di sé stesse, tante superfici coltivate sommariamente (tanto per la Pac) che attenderebbero di essere “riconquistate” dai bergamini.

Note

(1) C.Cantù, a cura di, Milano e il suo territorio, Tomo II, Pirola, Milano, 1844, p.101(2) Le autorità intendevano evitata nelle città non solo fame ma anche malcontento (mentre la carestia nelle campagne era tollerabile perché meno pericolosa). Era infatti difficile reprimere le rivolte cittadine, i “tumulti”. Che potevano facilmente degenerare nella “presa del palazzo”. Le cose, come noto, cambiarono dopo l’esperienza del 1848 quando, a partire da Parigi, si iniziò un “risanamento urbano”. Esso, eliminando il reticolo di viuzze, aveva lo scopo non tanto dissimulato di consentire alle truppe (e ai cannoni, che anche a Milano furono usate dal sabaudo Bava Beccaris) di impedire l’erezione di barricate.

(3) Sommario delli ordini pertinenti al tribunale di provisione della citta et ducato di Milano.  Cominciato l’anno 1580, successivamente ampliato nel 1613. Et finalmente perfettionato nell’anno 1657 con aggionta delli Ordini seguiti al presente ec. Nella regia Ducal corte per Cesare Malatesta Stampatore ec., Milano, 1657

(4)   A. Dattero , La famiglia Manzoni e la Valsassina: politica, economia e società nello Stato di Milano durante l’Antico Regime, Franco Angeli, Milano, 1997, p. 55.

(5) C. Cederna, “Una bomba contro il popolo”, L’Espresso, 21 dicembre 1969.

(6)  L. Formigoni, La Valsassina e l’allevamento del bestiame bovino di razza Bruna Alpina, s.l., 1930. p. 7

(7) L’infomatore era Mario Magenes, nato nel 1922 e l’intervista la raccolsi nel novembre 2011 presso la sua abitazione di Cascina Pessina in località Novegro (Mi), comune di Segrate (al confine con Milano)

(8) A. Dattero, op. cit,  p. 56

(9) C. Besana “Note sulla produzione e il commercio dei prodotti lattiero-caseari”, in P. Battilani, G. Bigatti (a cura di), Oro bianco. Il settore lattiero caseario in Val Padana tra Ottocento e Novecento, Lodi, Giona, 2003, p. 130

(10) M. Corti,   La civiltà dei bergamini. Un’eredità misconosciuta. La tribù lombarda dei malghesi tra la montagna e la pianura dal quattordicesimo al ventesimo secolo, Centro studi valle Imagna, Sant’Omobono terme, 2014, p. 272

(11) M.Corti, “I navigli milanesi: vie d’acqua e di latte  (o, per meglio dire, di caci e stracchini)”, in Latte&Linguaggio, 3 (2017):145-164 (a cura di L.Ballerini e P.La Torre, Danilo Montanari editore, Ravenna)

(12) 10. A. Carminati (a cura di) Bergamini, vacche e stracchini. Ventiquattro racconti di malghesi, lattai e fittavoli dalla Valle Taleggio alle cascine di Gorgonzola e dintorni. Centro studi valle imagna, Sant’Omobono terme, 2015, p. 68

(13) Intervista eall’autore alla pronipote raccolta il 3 ottobre 2015 presso la sua abitazione in contrada Grasso di Taleggio.

(14) M. Corti, G.Camozzini, P. Buzzoni. Zootecnia e arte casearia. Tradizioni da leggenda in Valsassina, Bellavite, Missaglia, 2016, p.68-60

(15) Archivio di stato di Milano, Atti di governo, Commercio, p.m., b. 15

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