
Tra le più note aziende casearie di matrice valsassinese, l’Invernizzi di Melzo è quella, che pur traendo origine dalla realtà bergamina, non è nata in Valsassina ma in pianura e, per la precisione a Pozzuolo Martesana. Le notizie sulla famiglia Invernizzi non sono molte e non consentono di ricostruire la dinamica della “fissazione” nella Bassa degli Invernizzi. Il valsassinese Pensa fornisce diverse le notizie più dettagliate1 . Egli riferisce che Carlo Invernizzi nato a Morterone nel 1837 da famiglia di bergamini frequentò con la famiglia le zone della Gera d’Adda e della Martesana a cavallo dell’Adda, di preferenza Liscate e Masate. Sposatosi nel 1870 con una Cattaneo “nativa del luogo”2 si fermò in pianura prendendo stanza a Pozzuolo Martesana comune confinante con Melzo dove, in qualità di “lattaio”3 raccoglieva il latte di alcuni piccoli produttori. In realtà Carlo Invernizzi sarebbe nato già a Pozzuolo Martesana (se bisogna prestare fede all’anagrafe) ed è probabile che fosse il padre Giuseppe a provenire da Morterone e ad essere legato alla transumanza. Lo testimonia l’atto di matrimonio di Carlo Antonio Invernizzi con Cecilia Cattaneo (atto redatto a Masate, località di residenza della Cattaneo, nel 1873). Un Carlo Invernizzi (ma potrebbe essere un omonimo tanta la diffusione degli Invernizzi), nel 1903, a Pozzuolo Martesana vinse un “premio di 3° grado con medaglia di bronzo e L. 20” alla locale mostra zootecnica per aver presentato una “scrofa con lattonzoli abbastanza vistosa e buona”4.
Sergio Villa, invece, nella sua Storia di Melzo5 sostiene che gli Invernizzi fossero di Pasturo, che Carlo nacque nel 1836 a Pozzuolo Martesana – dove avviarono un piccolo caseificio – e che sposò Cecilia Cattaneo. La data indicata dal Villa è confermata dall’atto di matrimonio. Resta così incerta, sino a nuovi riscontri l’origine degli Invernizzi anche se non c’è da dubitare dell’origine valsassinese
Basti pensare che in una statistica del 1861 a Melzo vennero registrati nove “fabbricanti di stracchino”. Tra quelli che dichiararono il cognome quattro su sette erano Invernizzi6. Alla fine dell’Ottocento oltre ai latée vi erano ancora nella zona parecchi bergamini che continuavano a praticare la transumanza tanto che a Melzo si registrava la presenza di 500 vacche di fittabili e 400 di bergamini.
Nel 1876 dal “precursore” Carlo Invernizzi e da Cecilia Cattaneo nasce Giovanni Invernizzi il fondatore della ditta destinata a diventare una grande industria (per quanto messa in ombra dalla, pur essa melzese, Galbani). Giovanni Invernizzi sposa Angela Lombardi . Hanno quattro figli, il secondo, Romeo, nato nel 1903, sarà destinato a guidare l’azienda potendo contare, però, sino alla vendita della stessa sul decisivo apporto del cugino Remo (ritenuto erroneamente da alcuni il fratello). Quest’ultimo era figlio di Giuseppe, fratello di Giovanni nato anch’egli nel 1876 che nel 1911 si era trasferito a Bellinzago Lombardo dove, nel 1916 nascerà Remo7.

Nel 1908 nel frattempo Giovanni fondò la ditta che portava il nome del padre bergamino (era evidente la volontà di operare sulla scia di Egidio Galbani). Inizialmente – il parallelismo con Egidio Galbani è impressionante – operò di fatto ancora da latée, sia pure in grande stile, presso la cascina gestita da un fittabile Brambilla a Settala. In quel periodo Giovanni Invernizzi non era ancora totalmente assorbito dall’azienda e Giovanni e trovò il tempo per fondare e dirigere una banda musicale a Pozzuolo (dove suonava il mandolino)8.
Nel 1914 l’Invernizzi aprì a breve distanza da quello della s.a. Egidio Galbani, uno stabilimento a Melzo. Di fronte al successo del Galbani è palese che egli intendesse seguire fedelmente le sue orme e approfittare del successo della ditta più grande per mettersi sulla sua scia. La Robiolina 9 Invernizzi comincerà ad essere venduta in molte città del Nord Italia specialmente nel genovese. Il successo arride anche con la Crescenza e il formaggio Savoia. Nel 1925 Romeo ancora giovane prende in mano le redini dell’azienda e imprime un ulteriore impulso all’azienda. Fino alla morte nel 1941 Giovanni mantiene, però, un ruolo nell’azienda occupandosi di selezionare le cascine fornitrici di latte. Egli si occupava anche di “rastrellare” aziende agricole in un periodo in cui i proprietari, in genere appartenenti all’aristocrazia lombarda, erano in difficoltà. Dall’acquisizione di diverse piccole cascine nacque la tenuta di Trenzanesio che diventerà la principale proprietà degli Invernizzi nello stile della tenuta all’inglese con tanto di daini in funzione ornamentale 10.
Nel 1928 rilevò da Galbani uno stabilimento già avviato a Caravaggio che consentì alla ditta di lanciare prodotti con il marchio di famiglia e di proiettarsi in campo nazionale e internazionale. Risale allo stesso anno la celebre etichetta con il ragazzo che si lecca le dita. Il salumificio fu acquistato nel 1939. Tra le due aziende melzesi, per quando di dimensioni molto dissimili tra loro, vi fu spesso accanita concorrenza che, in una cittadina che per alcuni decenni fu fortemente influenzata (in termini occupazionali e non solo) dalla presenza industria del latte portò a una specie di divisione tra chi “tifava” Galbani e chi Invernizzi. Ai formaggi freschi derivati dai tradizionali molli si affiancarono altre imitazioni, almeno nel nome dei prodotti Galbani. Orecchiava il Bel Paese il Bel Mondo (“formaggio che piace a tutto il mondo”). Quando la Galbani abbandonò la Robiolina di Melzo per lanciare il Certosino. La Robiolina divenne Invernizzina.

Al di là dello sfruttamento della scia della Galbani, gli Invernizzi (Romeo e Remo) seppero anche essere dei grandi del marketing. Il primo formaggino fuso Melzino venne reclamizzato utilizzando il fumetto delle avventure del signor Bovaventura sul Corriere della Sera che si concludevano immancabilmente con la consegna al protagonista di un assegno da un milione. Così il formaggino divenne Il milione, uno dei protagonisti di Carosello negli anni Cinquanta. La presenza dell’industria casearia nel mondo di Carosello era massiccia ma ad essa erano affiancate anche altre forme di promozione: i gadget, le raccolte di punti, le figurine. Su questo fronte l’Invernizzi non fu da meno delle rivali sviluppando strategie di marketing (forgiate nell’agenzia pubblicitaria di famiglia) con notevole anticipo sui tempi. I caroselli si popoleranno con la mucca Carolina, il toro Annibale, Susanna “tutta panna”11, i gattini Geo e Gea, Camillo il coccodrillo sulle spiagge della Versilia o della riviera romagnola, gli elicotteri della Invernizzi lanciavano migliaia di mucche Caroline o bambole Susanna già gonfiate. Così negli anni Sessanta l’Invernizzi è la seconda società del settore (dopo la Galbani) e a Caravaggio lavoravano 850 persone addette alla produzione, di crescenza, taleggio, gorgonzola, provolone, grana padano e formaggi fusi.

Gli Invernizzi non avevano eredi diretti (Romeo non ebbe figli, Remo cinque femmine) e il problema delle successione spinse, ovviamente insieme ad altre considerazioni, a cedere l’azienda. Nel 1985 toccò a Remo Invernizzi, a 68 anni, azionista di minoranza dell’azienda, ma fino al 1982 direttore generale e amministratore delegato, annunciare la vendita alla Kraft ( che assicuravano la continuità della gestione e garanzie per i 2.700 dipendenti (però la cifra, mai ufficialmente dichiarata fu, secondo le cronache, di oltre 130 miliardi di lire) In linea con il grande pragmatismo (e linearità, come da stile bergamino), Romeo Invernizzi, già ottuagenario, indicando la cassaforte dirà agli emissari della Kraft che, nel 1985, erano venuti da lui a Milano nel suo elegante palazzo di Corso Venezia “Lì sono le mie azioni Invernizzi. Firmatemi l’assegno e ve la apro”12.
Romeo e la moglie Enrica Pessina, pur senza diventare personaggi delle cronache e del gossip, né tanto meno rivestire cariche pubbliche (altra differenza con gli “altri Invernizzi”) frequentarono il ghota della borghesia milanese 13 e abitarono in un palazzo del centro di Milano con giardini pensili e i fenicotteri rosa, ricalcando in pieno lo stile della vecchia aristocrazia.

Romeo si spense nel 2004 a 98 anni a Milano, Remo nel 2013 a 97 a Caravaggio, città alla quale rimase sempre legato. Non fece in tempo a vedere cessare la produzione (avvenne nel 2015) ma la fabbrica era già della Kraft.
Romeo raccontava che sui banchi di scuola si addormentava perché prima di arrivarvi doveva fare il gir o con il carretto per raccogliere il latte. Anche Remo non ebbe una vita comoda. Iniziò ad aiutare il cugino a 9-10 anno e per studiare (al Collegio San Carlo) doveva recarsi tutti i giorni in bicicletta da Melzo. Remo fino alla morte, avvenuta nel 2013, continuò ad abitare di fronte al “suo” stabilimento di Caravaggio. Non ebbe il dispiacere di vederne la chiusura dello stabilimento anche se era annunciata dopo il passaggio dalla Kraft alla Lactalis che avendo conseguito un semi-monopolio nel settore (Galbani, Invernizzi, Locatelli, Cademartori) non esitò a tagliare i “doppioni” chiudendo stabilimenti che avevano fatto la storia del caseificio italiano (da Moretta di Cuneo a Caravaggio).
Furono senza dubbio dei self-made men. Oggi l’Invernizzi appartiene al gruppo multinazionale Lactalis ma, a differenza della rivale Galbani, è solo un marchio.
Note
[1] P. Pensa, L’Adda nostro fiume, vol. II, p. 496, Lecco, 1998.
[2] Nella zona della Martesana vi sono tutt’ora dei Cattaneo di Valleve in altra val Brembana.
[3] La figura del latée è stata condannata all’oblio in forma ancora più grave che nel caso dei bergamini. Dalla “casta” dei latée sono usciti fior di industriali e di dirigenti del settore caseario, una realtà scomoda per una narrazione che celebra il capitale e la competenza esperta dei tecnologi usciti dalle università. Romeo Invernizzi non rappresenta un caso “più unico che raro” ma un esponente, di certo dotato di particolare intraprendenza di una categoria.
[4] Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Divisione Industria. Sezione Pesca, Bollettino Ufficiale. Nuova Serie, p. 564.
[5] S. Villa, Storia di Melzo vol. II, Comune di Melzo, Melzo, 2002, p. 336, 344, 353. Si rifà a G. Robbiati, La Invernizzi, Melzo, 1990.
[6] Ivi p. 336
[7] Nel 1928 la famiglia di Giuseppe Invernizzi ritornò a Pozzuolo Martesana (AC Bellinzago Lombardo, anagrafe)..
[8] Ivi p. 354.
9 “Robiolina” fu il nomignolo che le dame dell’alta borghesia milanese attribuirono ad Enrica Pessina, in bilico tra confidenza affettuosa e l’invidia per la moglie del ricchissimo parvenue.
[10] La passione degli Invernizzi (Romeo e la moglie Enrica Pessina) per l’emulazione degli stili di quella aristocrazia alla quale erano subentrati nelle possidenze terriere, li portò a risiedere in un lussuoso palazzo in corso Venezia a Milano con giardini pensili e un giardino con fenicotteri rosa (diventati un po’ un simbolo della proprietà Invenizzi). Le proprietà immobiliari in stile aristocratico della coppia, oltre alla tenuta di Trenzanesio e al palazzo Invernizzi di corso Venezia 32, comprendevano anche “Villa Favorita” a Lugano, la più prestigiosa del Ceresio. Gli Invernizzi non furono da meno della vecchia aristocrazia anche per altri aspetti, ovvero nelle grandi somme spese al gioco (lui) e nell’esibizione di gioielli di enorme valore – mitica una parure di smeraldi – alle prime della Scala (lei). Adele Giulia Villa, già amministratrice delle proprietà dei conti Sola Cabiati (che confluirono nella costituzione della tenuta di Trenzanesio) ricorda, non senza una malcelata punta di disappunto, il rapporto tra i conti e Romeo Invernizzi: “Si incontravano e scontravano due mondi completamente diversi, dell’antica nobiltà ormai in disfacimento e della nuova borghesia industriale nascente. Ricordo alcuni pranzi stratosferici dell’Invernizzi […] anche il conte li organizzava, certamente più signorili e anche più interessanti, ma non della stessa portata che invece andavano esibendo gli industriali nascenti” (A.Carminati – a cura di – Bergamini, vacche, stracchini, Centro studi valle Imagna, Sant’Omobono terme, 2015, p. 363. E’ giusto però ricordare che gli Invernizzi emularono l’aristocrazia milanese anche nel ruolo di benefattori. A Romeo ed Enrica è dedicato un grande e moderno padiglione dell’Ospedale policlinico da loro finanziato e i loro lasciti alimentano ricerca e assistenza, specie in campo pediatrico. La loro figura di grandi benefattori dell’istituzione ospedaliera è ricordata da una gigantografia che campeggia all’ingresso del Pronto soccorso del Policlinico.
[11] Susanna, la mucca Carolina e il formaggino Milione dovevano colpire la fantasia creando un legame tra loro: Susanna, la bimbetta bionda e paffutella che “viveva nella TV e recitava: “Io ho una mucca assai pregiata (ehhh oh!) e Carolina l’ho chiamata (ehhh oh!). Appeso al collo ha un campanon, produce latte a profusion, vale certo dei milion (tolon tolon, tolon tolon… ehhh oh!)”. Come per altri messaggi Susanna e Carolina con i relativi jingle si fisseranno indelebilmente nella memoria di una generazione. Oggi E-bay pullula di mucche Caroline e di bambole Susanna alimentando un mercato della nostalgia per un’epoca che, con la deformazione di mezzo secolo trascorso, appare “tutta panna”.
[12] F. Fubini, “Morto Invernizzi. Inventò il formaggino di massa”, Corriere della Sera, 19 luglio 2004, p.22.
13 Pensava evidentemente non solo ai Locatelli, ma anche agli Invernizzi Pietro Pensa, imprenditore, studioso e amministratore pubblico valsassinese, quandi scrisse: “vi furono bergamini i quali, trasformatisi da mandriani in industriali del formaggio, riuscirono a penetrare nella scocietà borghese della Lombardia” (P.Pensa L’Adda nostro fiume, op. cit. p. 464).
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