Schede di approfondimento

In questa pagina vengono introdotti i temi che fanno da sfondo alla transumanza, sviluppati in singole schede (alle quali si accede con i pulsanti sotto).

Basilica di San Bassiano (Lodi vecchio): bovini da lavoro

Perché sino e oltre Lodi? Perché attraversare la Gera d’Adda? Era solo una dette varie direttrici dei bergamini tra le valli e la bassa pianura irrigua o questo itinerario storico ha un significato particolare?

Il fenomeno dei bergamini nasce nel basso Lodigiano tra la fine del Trecento e il Quattrocento, all’epoca dei Visconti per intenderci. Lungo il Po e gli ultimi tratti del corso dell’Adda la transumanza dei malgari medievali (proprietari di greggi di pecore) aveva trovato già nei due secoli precedenti condizioni favorevoli: ampi pascoli incolti di pertinenza per lo più del Vescovo di Lodi che consentivano di mantenere in inverno numerose greggi. Va precisato che, a quei tempi, le pecore erano regolarmente munte e che il formaggio che si produceva era ottenuto per lo più da latte ovino (con aggiunte di latte caprino e vaccino). La scarsezza di fieno impediva di allevare numeri importanti di vacche da latte. Il bovino medievale era, in pianura, allevato per il lavoro. Le vacche servivano a produrre buoi e facevano due litri di latte al giorno. Diversa la realtà in montagna dove i pascoli alpini consentivano di mantenere un certo numero di vacche da latte. Anche qui, però, l’allevamento era limitato dal “collo di bottiglia” dell’inverno. Nelle valli le scarse superfici coltivabili erano destinate ai cereali e le scorte di foraggi per l’inverno limitate.

Nelle aree dove le maggiori piene impedivano lo sviluppo della vegetazione arborea e nelle terre nuove, frutto delle modifiche del corso dei fiumi, non era possibile la coltivazione ma si poteva pascolare, anche con i bovini. In queste aree “di frontiera” (le “regone”, le “glaree”, i “polesini”), i margari, a volte trattenendosi anche in estate, iniziarono a mantenere un numero maggiore di bovini. Nel primo Quattrocento troviamo numerosi bergamini alla Somaglia e presso il monastero di Santo Stefano (fondato nel XI secolo e affidato ai cistercensi in quello successivo) , su territori prossimi al grande fiume (nei contratti si citano le varie categorie di terreni umidi e anche i canneti). E’ significativo di queste situazioni che, qualche decennio dopo un contratto stipulato dall’abate con dei bergamini, a causa delle inondazioni del Po l’abbazia dovette essere spostata dove oggi esiste ancora la Cascina Abbazia. In queste condizioni, però, il condizionamento delle vecchie strutture agrarie e fondiarie era minore ed era possibile per proprietari intraprendenti, per i loro intermediari, per i fittavoli e i bergamini sperimentare quelle soluzioni che poi si affermarono su buona parte del territorio (la nuova azienda a indirizzo misto e irriguo).

Lo svernamento, la possibilità di attrarre un numero sempre maggiore di vacche da latte era comunque legato alla possibilità di disporre di fieno in quantità e di stabilire un sistema transumante che sfruttasse in estate gli alpeggi e, in inverno, le aree coltivare a prato. Con l’aumento dei prati, l’allevamento perse (per quanto riguarda i bovini da latte) il carattere pastorale: dai ricoveri primitivi in legno con coperture in paglia e con semplici staccionate e tettoie si passò a realizzare costruzioni in muratura con fienili e ricoveri meno precari per uomini e animali. L’allevamento ovino si divise e mantenne il carattere pastorale e transumante che conserva tutt’oggi. Non cambiò solo l’allevamento, cambiò anche l’agricoltura. Prima lo spazio era diviso tra terre a grano (asciutte), pochi prati (asciutti) e, separate, aree boschive, pascolive. Qui la ceralicoltura, organizzata in poderi mezzadrili facenti capo a latifondi di signori laici o ecclesiastici, là le grandi aree incolte, dominio dei margari che pagavano l’erbatico ai signori detentori dei diritti feudali. Gradualmente gli incolti vennero messi a coltura, l’asciutto divenne irriguo e le due realtà (cerealicoltura e pastoralismo) si fusero nella grande azienda zootecnico-foraggero-cerealicola condotta da un affittuario (che, spesso, continuava a ospitare in inverno uno o più bergamini) . Ci vollero secoli, ma ne sortì un’agricoltura che, nel Settecento, era la più avanzata in Europa. Il merito fu anche dei bergamini (sarebbe ora di riconoscerlo).

Una storia di acqua e di latte

La disponibilità dell’acqua di irrigazione (e quindi gli investimenti in opere irrigue oltre che in costruzioni zootecniche) rappresentò il fattore determinante per aumentare il numero di tagli di fieno e mettere a disposizione delle vacche da latte una produzione più abbondante, un surplus che si aggiungeva alla produzione destinata a cavalli e bovini da lavoro. Da questo punto di vista l’estensione della Muzza (realizzata sin dal Duecento) oltre Lodi, verso il basso Lodigiano, ebbe un ruolo chiave in questo processo consentendo di ampliare le superfici prative in quelle aree non lontane dal Po e dall’Adda dove si concentrava la presenza dei margari e stimolandone la trasformazione in bergamini (allevatori prevalentemente di vacche da latte che, gradualmente, abbandonarono le pecore).

Ci vollero però secoli perché le strutture agricole prendessero l’aspetto delle moderne cascine (i primi edifici specializzati per la lavorazione del latte appaiono nelle cascine solo nel Cinquecento), perché l’importanza della produzione cerealicola diventasse secondaria rispetto a quella zootecnica. Ma la linea di sviluppo verso un’attività di allevamento bovino da latte integrata nell’azienda agricola era ormai avviata e la figura del bergamino ben affermata sin dal Quattrocento (basti pensare che il “sale dei bergamini” rappresentava una delle entrate più importanti dello stato).

L’integrazione piena tra agricoltura e allevamento si avrà quando, nel Seicento, a partire dalla bassa lodigiana, gli ex transumanti (personaggi “girovaghi” che passavano da cascina in cascina e possedevano solo la mandria e qualche baita e prato in montagna) assunsero essi stessi la conduzione delle cascine come agricoltori. Nei secoli successivi i bergamini continuarono ad essere numerosi nell’area intorno a Lodi, nella zona della Gera d’Adda, nella Martesana, nella zona di Paullo, nella valle del Ticino. Gli ultimi bergamini rimasti (in località come Merlino e Spino d’Adda) hanno cessato l’attività alla fine del secolo scorso. Qualcuno, ormai agricoltore-allevatore sale però ancora con le vacche in alpeggio in estate.

Iniziata sulle rive del basso corso dell’Adda, fiume che, con la presenza di aree umide, ghiaiose, boschive lungo tutta la sua asta, dalla confluenza del Brembo all’immissione nel Po, rappresentava un grande corridoio di transumanza, la storia dei bergamini è terminata in queste zone, lodigiane e cremasche sulle sponde dell’Adda.

La presenza dei fontanili e di condizioni adatte alla coltivazione dei prati stabili, la struttura fondiaria basata su aziende piccole e medie, meno propense a mantenere una propria mandria (struttura ben diversa da quella del Cremonese e del basso Lodigiano) ha fatto sì che il fenomeno bergamini si sia “conservato” a lungo nella Gera d’Adda. Sino a ieri potremmo dire. Grazie alla prevalenza della produzione foraggera e alla presenza dei bergamini l’area della Martesana e della Gera d’Adda furono, prima della seconda guerra mondiale le aree a più elevata vocazione zootecnica della Lombardia.

Le aziende che hanno fatto la storia del caseificio (Invernizzi a Melzo e Caravaggio), Galbani (a Melzo), Arrigoni (a Crema), Devizzi (a Gorgonzola), seguite dalle tante ancora in attività nell’Est milanese, nella bassa bergamasca e nell’alto cremasco non solo sono nate e si sono sviluppate grazie a imprenditori, tecnici, maestranze di origine bergamina ma hanno potuto espandersi perché, in epoche in cui il latte viaggiava su bidoni caricate su carrette a trazione animale, vi era un bacino di raccolta molto denso nel raggio di poche decine di chilometri. L’espansione di queste industrie e delle altre aziende casearie medie e piccole ha, a sua volta, trainato per molto tempo il settore zootecnico. Non a caso nel 1954 nacque a Pandino la Scuola Casearia, un’istituto professionale ai tempi unico e all’avanguardia. La scommessa di oggi è operare perché questa tradizione di assoluto valore possa ancora rappresentare una risorsa.